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Saturday, September 29, 2018

Elon Musk lascia la presidenza della Tesla e paga 20M di USD di multa


E' una notizia che mi rattrista ma non mi sorprende.

Elon Musk si e' volontariamento dimesso dalla presidenza della Tesla e ha accettato di pagare $20 milioni di dollari come multa alla Securities and Exchange Commission, l'equivalente della Consob di Wall Street, solo un po piu' severa.

Due giorni fa la SEC aveva inoltrato una denuncia a Musk in merito ai suoi twittii del 7 Agosto 2018.
In questa denuncia Elon Musk era accusato di frode per avere annunciato su Twitter di voler privatizzare la Tesla a 420 dollari per azione e di avere trovato finanziamenti per farlo.  Il titolo era crollato, e non era neanche vero.

Elon Musk non potra' piu' accedere alla presidenza della Tesla per almeno tre anni, potra' pero' restare CEO della ditta; la Tesla ha poi pagato altri $20 milioni di dollari di multa per non avere adeguatamente controllato cosa veniva fuori dalla tastiera dell'ora ex presidente Elon Musk.

Il totale del $40 milioni di dollari verranno usati per ricompensare in parte gli azionisti.

E la Tesla? Per ora ci saranno due direttori indipendenti e ci sara' anche un gruppo che dovra' monitorare le comunicazioni di Elon Musk, che restera' parte dell'esecutivo.

Alcuni commentatori qui negli USA sono sorpresi del fatto che a Musk sia consentito restare CEO, visto che questo ruolo e' di maggior visibilita' della presidenza della Tesla. L'opinione corrente e' che la Tesla e' Elon Musk, e che togliergli il ruolo di CEO danneggerebbe ancora di piu' le azioni e gli azionisti.

Si calcola che del valore attuale della Tesla, $130 sono attribuibili direttamente ad Elon Musk stesso, e della sua personalita'. 

Cosa penso io?

Mi sono sempre chiesta come facesse quest'uomo a fare tutto quello che fa e che ha fatto. Da Pay Pal a Tesla, da Space X per mandare la gente nello spazio, al tunnel sotto Los Angeles per evitare il traffico downtown, da Solar City per le tegole solari, fino al sottomarino per salvare i bimbi della grotta in Thailandia.

Il giorno e' fatto di 24 ore per tutti, anche per lui, ed e' umanamente, secondo me almeno, impossibile fare tutto senza che da qualche parte il corpo o la mente, non abbiano dei cedimenti, sotto la pressione, lo stress, la responsabilita', il vedersi tutti i giorni sulla stampa mondiale.

L'altra settimana qui negli USA l'abbiamo visto fumare la mariuana durante una intervista, ne abbiamo letto un altra in cui diceva di dormire pochissimo, di essere sempre in viaggio, sempre in pensiero per tutte queste sue creature. Faceva tristezza.

Non sono nessuno, ma credo che abbiamo bisogno dell'Elon Musk migliore per incentivare la gente a fare buon uso delle automobili elettriche. La maggior parte delle persone, io inclusa, gli vuole un gran bene, e sa che e' anche grazie a lui se siamo arrivati fin qui. E tutti sappiamo che c'e' ancora tantissima strada da fare. Io spero che questo episodio sia utile a riportare Elon Musk alla normalita', a prendersi del tempo per se stesso, a volersi bene, a sapere dire di no qualche volta, a trovare un nuovo equilibrio che lo renda piu' sereno, e spero, felice.

We wish you all the best Mr. Musk; We need the best you you can be.

La Nuova Zelanda all'85.1% di energia elettrica rinnovabile








La Nuova Zealanda zitta zitta e' diventata un leader della generazione di energia elettrica da rinnovabile.  Nella seconda meta' del 2017 avevano generato il 79% della loro energia dalle rinnovabili; nel primo quarto del 2018, da Gennaio a Marzo, eravamo all'81.2% e ora nel secondo quarto, fra Aprile e Giugno 2018, siamo arrivati all'85.1%.

Tutto questo secondo fonti ufficiali governative, pubblicate nel New Zealand Energy Quarterly.

L'energia arriva qui da sole, vento, geotermico ed idroelettrico: la Nuova Zelanda ha un po di tutte queste cose ed e' capace di usare questo mix tutto l'anno. Per di piu' l'ente energetico del paese, la Transpower NZ reigstra profitti e sta iniziando a investire su un progetto integrato di sistema di batterie per stoccare l'energia green in eccesso. 

Il record raggiunto nei mesi Aprile-Giugno 2018 e' pero' solo l'apice piu' recente; nel senso che se si torna al 1981 si possono trovare percentuali di rinnovabili maggiori.

Perche' il 1981? Non mi e' ben chiaro, ma dopo la crisi del petrolio del 1973, la Nuova Zelanda decise aumentare la sua capacita' energetica da idroelettrico e fra il 1975 e il 1985 l'aumento di energia generato da idroelettrico raddoppio, mentre quella da geoermico aumento di un fattore 15.

Il motivo del boom delle rinnovabili in tempi recenti e' grazie alle condizioni climatiche favorevoli a vento, sole ed idroelettrico. E mentre le rinnovabili crescevano, la produzione di energia da fonti fossili era in declino, del 27% rispetto ad un anno prima, il 2017.

Il vento ha generato 560 GWh di energia in quei mesi, superando l'equivalente del 2017 del 12 percento; l'idroelettrico inveceh ha prodotto 6,843 GWh, il 13 percento in piu' rispetto a un anno prima.

L'obiettivo della Nuova Zelanda e' di arrivare al 90% rinnovabili entro il 2025 e 100% entro il 2035. 

Bravi.

Thursday, September 27, 2018

Canada: bocciato l'oleodotto delle Tar Sands per salvare le orche









Una corte federale del Canada doveva decidere se approvare un oleodotto, una estensione verso il mare della esistente Trans Mountain Pipeline, oppure se salvare le orche che vivono nel mare nel punto di approdo dell'oleodotto.

Per una volta hanno fatto la cosa giusta: hanno salvato le orche, e bocciato l'oleodotto.

La corte aggiunge, nella sua decisione finale che la ditta proprietaria dell'oleodotto, chiamata Kinder Morgan e con sede in Texas, non solo non ha considerato il suo impatto sulle orche ma non ha neanche appropriatamente tenuto conto del parere delle tribu' indigene del Canada e non ha eseguito studi appropriati sul traffico marino.

La battaglia arriva dopo almeno due anni di lotte in tribunale e nella corte dell'opinione pubblica, con gli indigeni, gli ambientalisti e la citta' di Vancouver che hanno esposto assieme causa alla Kinder Morgan nel 2016.  Anche il governatore dello stato di Washington, negli USA a sud del confine con il Canada si e' dichiarato contrario.

Innumerevoli le proteste da tutti e due i lati del confine fra gli USA e il Canada.

Se pure la Kinder Morgan dovrebbe iniziare domani a studiare per bene cio' che la corte le ha chiesto -- effetti del traffico marino, sulle orche, sulle terre degli indigeni -- ci vorrebbero anni. Per cui per adesso e' tutto sospeso.

La preoccupazione collettiva era per la qualita' dell'acqua, e per la qualita' di vita delle orche nel

L'oleodotto della nostra discordia, il Trans Mountain pipeline doveva connetere il petrolio delle Tar Sands del Canada, dalla citta' di Edmonton, Alberta, fino a Burnaby, British Columbia, sull'oceano pacifico. L'estensione sarebbe stata di circa 1000 chilometri in parallelo ad una linea gia' esistente, e avrebbe dovuto triplicare il flusso di petrolio fino a quasi 890mila barili al giorno. Era un progetto da 3.5 miliardi di dollari.

Le tribu indigene erano fortemente contrarie perche' di quei 1000 chilometri, molti sarebbero passati nelle loro riserve.

Quel gran signore di Justin Trudeau che gioca a fare il figo invece dice che lui era d'accordo a questo Trans Mountain Pipeline perche' l'oleodotto avrebbe aumentato le esportazioni verso l'Asia, avrebbe diminuito la dipendenza energetica del Canada dagli USA, e avrebbe portato a 15mila nuovi posti di lavoro.

Come sempre la manna petrolifera!
La Kinder Morgan ha annunciato che abbandonera' il progetto e che anzi, lo venderanno al governo del Canada.

Per varie settimane abbiamo seguito la storia di J35, l'orca la cui piccola muore e che lei ha cercato disperatamente di tenere a galla, per almeno 17 giorni.

Sono queste le orche che occorre salvare.  Mentre che qui parlano di oleodotti di quelle orche qui ne sono rimaste sole 75.


Tuesday, September 25, 2018

L'airgun danneggia o uccide zooplankton, capesante, aragoste; 600 petrolieri vanno in fibrillazione











Della Spectrum Geo abbiamo parlato su questo blog, come di quei gran signori che vogliono fare una campagna mastodontica di ispezioni sismiche in Adriatico, da Ravenna fino a Santa Maria di Leuca.

Anche dello studio del Professor Robert McCauley, della Curtin University in Western Australia,
abbiamo gia' parlato su questo blog. Fu pubblicato circa un anno fa su Nature Ecology. I ricercatori conclusero che l'airgun sperimentato in Tasmania, a sud dell'Australia, causava la morte dello zooplankton, alla base della catena alimentare, fino ad una distanza di 1.2 chilometri.

Lo stesso gruppo poi mostrava che le ispezioni sismiche portavano danni al sistema immunitario delle aragoste; e in altri studi ancora che la mortalita' delle capesante poteva aumentare dopo l'esposizione all'airgun.

Tutti questi studi sono stati pubblicati su riviste prestigiose, su cui e' difficile pubblicare e per i quali c'e' una rigida peer-review, cioe' i tuoi pari ti criticano, e la barra di accettazione e' molto elevata.
Nel primo caso, come detto si tratta di Nature Ecology; negli altri due di Marine Biology Pollution e di PNAS. Il fatto che gli studi siano stati pubblicati su tali riviste -- e per tre volte! -- significa che chi l'ha scritto non e' fesso e che sa quel che sta ricercando.

Ma... come possono i signori del petrolio accettare tutto questo?

Non possono e cosi corrono ad attaccare il Prof. McCauley e la sua squadra.  E non l'hanno fatto in modo delicato: si sono messi assieme quelli della American Petroleum Institute (API) e della International Association of Geophysical Contractors (IAGC), che sono tutte associazioni che fanno gli interessei del petrolio ed hanno ... scritto una lettera ai politici americani per metterli in guardia, non sia mai, da questi cattivissimi studiosi australiani!

Dicono che lo studio degli australiani e' sbagliato, che i pesci erano piccoli che c'e' troppa variabilita' che ci sono troppe conclusioni speculative.

Chi rappresentano quelli della API e della IAGC? Beh, circa 600 petrolgruppi fra BP, Chevron, Exxon and Shell, e altri gruppi che invece fanno di mestiere l'airgun, fra cui la nostra amica Spectrum Geo.

Guarda un po che coincidenza!

Ovviamente Mr. Petrolio, anzi tutti e 600 i Mr. Petroli dicono che l'airgun non porta problemi, cioe' la versione americana del tuttapposto.

Il Professor McCauley dice che sapeva che il suo lavoro sarebbe stato infangato; come puo' essere altrimenti visti gli interessi che ci stanno sotto?

E fanno bene i petrolieri a preoccuparsi.

Alla luce di questi, e di altri studi, alcuni amministratori del North Carolina hanno chiesto alle ditte che hanno proposto di fare airgun e di trivellare i loro mari di mostrare che le loro tecniche non avrebbero messo in pericolo la pesca. E anzi, il dipartimento di qualita' ambientale dello stato disse che le ispezioni sismiche avrebbero potuto portare a impatti negativi sulla pesca commerciale e da sport e a danni ai mammiferi marini.

E cosi, alcune ditte di airgun, fra cui la Spectrum Geo mandano la lettera dell'API e della IAGC, i loro lobbysiti alle autorita' del North Carolina per dire tuttapposto.

Fra l'altro questa Spectrum Geo non felice di rovinarci l'Adriatico ha anche in programma una campagna di acquisto dati proprio in Australia.

La cosa schifosa e' che i petrolieri dalle tasche profonde hanno pure deciso di farsi il loro studio da se: un gruppo di riceratori e' stato pagato dalla Australian Petroleum Production and Exploration Association per replicare i risultati del Professor McCauley. I loro risultati? Che se si cambiavano le localita' da esaminare, le rispettive temperature e le creature marine in analisi la mortalita' veniva ridotta. Ovviamente non poteva che venire un risultato che a loro stava bene!

Cosi' questo studio viene mostrato in giro, senza dire che era stato sponsorizzato dai petrolieri e come prova che gli studi del Professor McCauley erano sbagliati.

Nuovo colpo di scena.

Il Professor Anthony Richardson, a capo del lavoro sponsorizzato dai petrolieri, dice che non e' giusto paragonare i loro risultati a quelli trovate in altre aree, e dice che i petrolieri sbagliano a condannare il lavoro del Professor McCauley.

Secondo lui ci vogliono altri studi.

Morale della favola: se i petrolieri mettono in moto tutta questa macchina del fango, scrivono lettere ai politici, sponsorizzano altri studi, e cercano di menarla per le lunghe, crocifiggendo un semplice gruppo di ricercatori indipendenti, un motivo ci sara'.

Hanno paura della verita'.

A noi resta solo essere piu' furbi di loro e non credere ad una sola parola di quello che dicono.

Dove si e' mai visto che uno spara come un forsennato in mare, ogni 10 secondi, da piu' punti, a decibel elevatissimi, e .. tuttapposto?

Da nessuna parte, oltre che nelle tasche dei petrolieri.


Sunday, September 23, 2018

Borneo: a causa della deforestazione in sedici anni andati persi 100,000 orangotanghi












L'isola di Borneo se la dividono fra Indonesia, Malesia e Brunei, e fino a quaranta anni fa per tre quarti era coperta da foreste con tutta la magnifica biodiversita' di flora e fauna che portano con loro.

E poi arriva l'uomo, con deforestazione, piantagioni monocultura, industria del legno. Muore la foresta, muore la vita.

E cosi, dal 1999 al 2015 sono andati persi 100,000 orangotanghi che non sono sopravvissuti alla deforestazione, alla perdita di habitat, alla caccia selvaggia. E se tutto continua come finora, entro il 2050 saranno persi altri 45,000 esemplari.

E' quanto emerge da uno studio pubblicato su Current Biology da un gruppo di ricercatori internazionali guidati da Maria Voigt del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, in Germania.

Gli studiosi hanno esplorato le foreste del Borneo e seguito il fato di quasi 37,000 nidi di orangotanghi nel periodo che va dal 1999 al 2015. Nel 1999 il numero di nidi erano di 22.5 per chilometro percorso, nel 2015 si era arrivati a10.1 nidi per chilometro.

Calcolando la natalita' tipica da ciascun nido e il numero totale, hanno poi stimato le perdite di orangotanghi sulla cifra di 148,500 individui.

In piu' i dati sono stati studiati diverse popolazioni di orangotanghi presenti su Borneo, ed emerge che dei 64 gruppi presenti solo 38 hanno una popolazione adeguata a garantire la sopravvivenza sul lungo termine: cento individui.
Maria Voigt dice che nessuno si aspettava questo tipo di declino, e che le cause sono nel degrado dell'habitat di questi animali, con l'avanzare del disboscamento, dell'agricoltura intensiva e anche dell'uccisione diretta.

Nel 1973 si calcolava che vivessero in Borneo 288,500 esemplari di orangotanghi. A quel tempo, i tre quarti dell'isola erano ancora foresta.

Nel 2012 il censimento parla di 104,700 individui.

Nel giro di meno di 40 anni un terzo delle foreste del Borneo sono state distrutte dal fuoco, piantagioni di olio da palma, miniere, e dall'industria del legno. 
Gli orangotanghi hanno bisogno di foreste per vivere e mal si adattano fuori.

Le perdite sono state maggiori in Kalimantan, la parte Indonesiana dell'isola e negli stati di Sabah e di Sarawak che appartengono alla Malesia invece.

La cosa pero' preoccupante e' che mentre Kalimantan e Sabah sono state antropizzate, Sarawak ha conservato le sue foreste. E perche' allora anche qui c'e' stata mortalita'?

Non si sono registrate qui ne epidemie o altre cause di morie di massa. La spiegazione: uccisioni dirette.  Gli orangotanghi vengono uccisi per la carne,  e per il commercio illegale di animali. Le mamme vengono uccise e i loro piccoli venduti sul mercato nero.  A volte gli orangotanghi vengono uccisi perche' si allontanano dalle foreste ed entrano nei giardini o nei campi delle persone in cerca di cibo.  A volte si spacciano le uccisioni di orangotanghi come "controllo delle pesti".

L'uomo si appropria dell'habitat degli animali, nascono i conflitti e l'animale ha sempre la peggio, visto che non hanno pistole con se. 

E se i tassi di deforestazione restano cosi come sono, circa 215,000 chilometri quadrati in piu' di foresta andanno persi dal 2007 al 2020.

Il tasso di foresta dell'isola passera' dal 75% del 1973 al 24%.

Cosa fare? Secondo Maria Voigt occorre introdurre piu' misure per proteggere foreste e orangotanghi,
con sensibilizzazione ambientale e coinvolgimento delle comunita' locali.

Qualche passo e' stato fatto: il governo indonesiamo nel 2016 ha dichiarato una moratoria contro l'apertura di nuove piantagioni di palma in tutto l'arcipelago nazionale, e anzi i permessi dati nel 2015-2016 sono stati cancellati.

Come sempre, non solo solo gli orangotanghi nella lontana Indonesia, e' tutto il nostro pianeta che e' a rischio e occorre che tutti facciamo la nostra parte.  Un consumo responsabile ed etico, rompere le scatole a chi di dovere, cercare di riparare quello che e' andato perso, dalla pulizia delle nostre spiagge all'uso di fibre non sintetiche.