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Monday, January 10, 2011

Report finale sullo scoppio BP




Oggi 11 Gennaio 2011 la Commissione Nazionale sul disastro BP nel golfo del Messico rendera' pubblico il risultato di sei mesi di studi. Lo scopo di questa commissione e' di esaminare fatti e circostanze che hanno portato all'incidente BP e di presentare opzioni per evitare che questo riaccada in futuro.

Vari report giornalistici in queste ultime settimane hanno gia' messo in luce che alla base del disastro c'e' una cultura affaristica in cui profitti e risparmi sono piu' importanti che la sicurezza di persone e ambiente, scarsi controlli governativi e la mancanza di una seria volonta' politica di monitorare i petrolieri.

Fra le raccomandazioni della commissione ci saranno le proposte di:

1) Creazione di una organizzazione pagata dai petrolieri per scambiare informazioni sulle migliori pratiche per trivellare in acque profonde;

2) Rafforzamento degli uffici governativi che regolamentano e controllano le operazioni petrolifere a mare, fra cui il Bureau of Ocean Energy Management;

3) Maggiore partecipazioni di scienziati indipendenti e del pubblico nell'assegnazione di concessioni petrolifere;

4) Eliminazione del limite di pagamento danni delle compagnie che causano disastri. Il limite massimo e' adesso 75 milioni di dollari;

5) Utilizzo delle multe alla BP per la riqualificazione del golfo del Messico;

6) Rafforzare le capacita' di pulizia e di prevenzione di governo e di petrolieri prima di iniziare a trivellare nell'Artico;

7) Prolungamento del periodo utile per le osservazioni da 30 ad almeno 60 giorni, per dare maggiori possibilita' di intervento a cittadini, enti e governi locali;

Molte di queste raccomandazioni diventeranno legge, secondo rappresentanti della Casa Bianca.

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Queste leggi andranno ad aggiungersi ad altre gia' esistenti per la difesa dell'ambiente. Negli Stati Uniti solo il golfo del Messico e' aperto alle trivelle - in California, Florida e tutti gli stati ad Est ed Ovest della nazione vige il divieto di trivellare fino a 100 miglia da riva - 160 chilometri - per proteggere turismo e vita marina. Anche nei grandi laghi, che hanno una superficie una volta e mezza maggiore dell'Adriatico, vige il divieto assoluto di trivellare.

Lo scoppio americano ha avuto conseguenze anche in Italia, con il timido decreto Prestigiacomo che vieta la trivellazione in mare di piattaforme a meno di 5 miglia dalla costa, limite che aumenta a 12 miglia nei pressi di zone marine protette.

Sebbene queste precauzioni siano importanti, la verita' di fondo e' che le operazioni petrolifere sono sempre inerentemente pericolose e dannose per l'ambiente, quali che siano gli accorgimenti che si vogliano o possano prendere.

Ogni anno ci sono circa 150 milioni di litri di petrolio che vengono dispersi in mare, e solo il 5% di questi vengono da incidenti simili a quello del golfo del Messico. Il resto sono perdite o rilasci intenzionali da navi, piattaforme o raffinerie. Oltre al petrolio ci sono gli scarti petroliferi - una sola piattaforma rilascia circa 2mila tonnellate l'anno di rifiuti, in quelle che sono considerate condizioni normali di operazione. Molti incidenti passano inosservati, ma tutta questa gran mole di sostanze tossiche sono detrimentali al ciclo della vita naturale, incluso l'uomo che e' parte integrante di tutti gli ecosistemi.

Non c'e' via di scampo - trivellare e' sempre rischioso e inquinante.

Non bisogna credere che leggi migliori ci rendano immuni da nuovi catastrofi, ne Italia ne altrove. Il petrolio scarseggia e si inizia a trivellare in condizioni sempre piu' difficili, in termini di profondita' e di condizioni climatiche - l'oceano aperto, i ghiacciai - che fino a 10, 20 anni fa erano considerati troppo inospitali per le trivelle. Allo stesso modo non si deve credere che pozzi piu' modesti siano esenti da rischi. In Italia abbiamo avuto il nostro piccolo golfo del Messico nel 1960, quando la piattaforma Paguro scoppio' a pochi chilometri da Ravenna, rilasciando idrocarburi per due mesi e mezzo, uccidendo tre tecnici.

In Italia oggi, la stessa BP progetta di costuire piattaforme profonde in Sicilia, e una moltitudine di piccole ditte, con capitali sociali ridicolosamente piccoli, pianificano una vera invasione dei nostri mari, da nord a sud, passando per Venezia, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sicilia, spesso senza neanche che i cittadini lo sappiano e nei pressi di veri tesori naturali e storici. Lo stesso vale per la terraferma, con permessi che sorgono come funghi in zone agricole, vicino a citta' d'arte, nei parchi, fra i vigneti.

Il nostro petrolio e' scadente, in quantita' ed in qualita'. Abbiamo petrolio per soddisfare solo il 6% del nostro fabbisogno nazionale, che viene in gran parte da una terra gia' sacrificata al petrolio e di cui nessuno parla mai, la Basilicata.

Il decreto Prestigiacomo non e' sufficiente a proteggere la nostra penisola. Come possiamo - come popolo - permettere che l'ENI trivelli a soli 10 chilometri da Venezia con tutto lo splendore e la fragilita' di quella citta'? Dovremmo essere tutti indignati, da cima a fondo dello stivale, perche' di Venezia ce n'e' una sola.

Si dira': il petrolio serve, l'Italia gia' ne ha poco, e occorre cercare dei compromessi.

Io credo invece che tutto parta a monte. L'Italia ha bisogno di capire che tipo di direzione prendere in questo nuovo millennio e decidere se trivellare la nazione da cima a fondo, sul modello Basilicata, sia in linea con questo sviluppo. Non possiamo essere tutto allo stesso tempo. Non possiamo pensare di estrarre petrolio dai nostri campi, dai nostri mari e di non pagarne il conto, in termini sociali, ambientali, turistici, di immagine.

Il fatto di possedere poche risorse petrolifere in questo senso e' una benedizione per noi. Siamo un popolo intelligente e creativo, che nel corso dei secoli ha regalato scoperte e bellezza al mondo intero. Usiamo le energie, i soldi che spenderemmo per le operazioni petrolifere verso investimenti che portino alla creazione di nuovi fonti energetiche, piu' pulite, piu' sane, piu' consoni con il 21esimo secolo.

E' questo il futuro, un futuro di lungimiranza e di coraggio. Non lo sono leggi tampone che vietano le trivelle a 5 o 12 miglia, dando il beneplacito a quelle a 6 o a 13.

Mi auguro infine che il gran fiorire di movimenti di opposizione dal basso alle trivelle possa coagularsi in un sentimento nazionale, che possa aggiungere un nuovo tassello alla nostra identita' comune, nel sentirci parte di una unica battaglia, per un unico ideale. Vorrei che non fossimo piu ne brianzoli, ne veneti, ne abruzzesi, ne siciliani contro le trivelle, ma Italiani che non possono sopportare che ditte petrolifere da mezzo mondo vogliano venire a deturpare la nostra bella penisola, a cominciare dalla Basilicata, tristemente dimenticata da tutti.


1 comment:

davide said...

si,servono tanti attivisti.. tra non molto, poichè petrolio ed inceneritori non bastavano, inizierà anche la battaglia (vera,poichè vogliono far scendere in campo l esercito!)sul nucleare.
vogliono realizzare almeno 5 centrali con tecnologie di 2°-3° generazione: un vero pacco miliardario dei cugini francesi!