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Sunday, April 29, 2018

Chernobyl: dopo 32 anni l'energia arrivera' dal sole

Chernobyl 2018: il sarcofago che copre il reattore nucleare esploso sulla sinistra; 
i pannelli solari sulla destra. 



Il sarcofago costruito nel 2016 

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Dentro Chernobyl













Fuori Chernobyl 











Era il 25 Aprile 1986, quando il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl scoppio', rilasciando dieci volte il quantitativo radioattivo della bomba di Hiroshima.

Morirono in 31; ci fu panico in tutta Europa, migliaia furono i morti attribuibili al nucleare lungo i decenni successivi. Vennero evacuati in 115,000 da un area di 2,500 chilometri quadrati.  La zona d'esclusione aveva un raggio di 30 chilometri dalla centrale e trasformo' la citta di Pripyat, dove vivevano tutti i lavoratori della centrale nucleare, in una ghost-town ferma al 1986.

Dopo 32 anni l'area e' ancora abbandonata, casa di improbabile vegetazione e fauna selvatica. Ogni tanto qualcuno va li a fare foto di un passato che non esiste piu' e di un presente spettrale, introspettivo, triste e toccante allo stesso tempo.  E' anche nata una specie di industria del turismo con circa 4,500 visitatori nel 2017.

In realta' attivita' nucleare non venne tutta fermata nel 1986. Il reattore 4, quello che scoppio', continuo' ad operare fino al 1990; e questo perche' era' piu' facile lasciare le barre di generazione di energia esaurirsi da sole piuttosto che entrare dentro la centrale e rimuoverle. Si sono spente da sole dopo quattro anni. Il reattore 2 venne chiuso nel 1991 dopo un incendio, il reattore 1 venne chiuso nel 1996, e finalmente il reattore 3 che continuo' ad operare fino al 2000.

Dal 2000 ad oggi Chernobyl non ha prodotto niente.

Fino ad oggi.

Perche' questa e' una storia di speranza.

E infatti e' poi arrivato Evgeny Variagine, con la sua Rodina Energy Group, e con il suo progetto "Solar Chernobyl".

Si, Solar Chernobyl. La centrale tornera' a produrre energia, ma non dal nucleare, quanto dal fotovoltatico. 

La Rodina Energy Group d'Ucraina con a capo Mr. Variagine ha creato una partenership nel 2017 con la ditta tedesca Enerparc per mettere su una centrale solare di un megawatt a cento metri dal reattore 2 abbandonato.

Solar Chernobyl e' un inizio. Costera' 1.2 milioni di dollari e portera' energia a 2000 famiglie, Fra sette anni i ricavati copriranno gli investimenti.

Dal canto suo il governo dell'Ucraina offre incentivi in termini di costi bassi per investitori, come per esempio per affittare i terreni (appunto abbandonato!) e alti ritorni per la generazione di energia che verra' immessa in rete.

L'idea e' partita nel 2016 quando il ministro dell'ecologia del paese annuncio' di volere riutlizzare circa 2,500 chilometri quadrati di terreno attorno a Chernobyl. La terra' e troppo radioattiva per l'agricoltura, e anche per viverci, ma ci sono ancora linee elettriche degli anni settanta ed ottanta che connettevano la centrale di Chernobyl ad altre citta' piu' lontane e che possono ancora essere usate.

E di qui l'idea del solare, per di trasformare l'area in qualcosa di piu' produttivo.

Sorgeranno qui 3,800 pannelli solari, fissati su strati di cemento e non scavati nel terreno, perche e' vietato. Sul fondo, il reattore numero 4 coperto dal “sarcofago” costruito da un consorzio francese nel 2016 e costato 1.5 miliardi di euro. Il sarcofago e' ermeticamente sigillato; dentro ci sono impianti controllabili in remoto che hanno finalmente smantellato il reattore interno. La struttura e' pensata per contenere qualsiasi altro rilascio reattivo dal reattore 4. E' stato anche costruito un nuovo impianto per lo stoccaggio di materiale radioattivo.

Rodinia ed Enerparc verranno pagate 15 centesimi di euro per ogni kilowatt-ora generata fino al 2030. Questo e' circa il 40% in piu' rispetto ai costi medi del resto d'Europa, a causa ovviamente dei rischi e del fatto che il sito non e' ottimale. Per Rodina ed Enerparc e' un buon affare, ed infatti, l'idea e' di sviluppare altri 99 megawatt di energia solare, per arrivare da uno a cento megawatt.

Al momento l'Ucraina ha dodici impianti nucleari arrivi e altre tre centrali solari:  due in Crimea, Okhotnykovo e Perovo Solar Parks, costruite nel 2011 e che generano 82 e 100 megawatt ciascuna. Nel 2012 invece e' stata costruita Starokozache Solar Park ad Odessa, con 42 megawatt. Le prime due pero' sono state perse nel 2014 con l'annessione della Crimea alla Russia. E non solo, adesso il gas russo non arriva piu' in Ucraina e cosi' Chernobyl puo' anche rappresentare un passo in avanti verso la generazione di energia "made in Ucraina" e non importata dalla Russia.

Altre ditte hanno espresso interesse a generare energia dal sole a Chernobyl: la Engie Sa di Francia, addirittura pensa di creare un progetto da mille megawatt. Come possono mancare i cinesi? E infatti ci sono ben due ditte che da Pechino vogliono venire ad investire qui: la GCL System Integration Technology e la China National Complete Engineering Corporation.

In totale ci sono 60 richieste. 

Dal canto suo, la Rodina sviluppa progetti solari in Ucraina, Bielorussia, Turchia, Armenia e Kazakhstan, avendo installato circa 150 megawatt in totale. Fra queste, il progetto di Bielorussia da 4.2 megawatt che e' nella zona di esclusione di Chernobyl.

Il piano originale per Chernobyl era di costruire 12 reattori. Nel 1986 erano funzionali il reattore 1, 2, 3 e 4. Il 5 e il 6 erano in costruzione. Il 7 e l'8 erano in progettazione. E poi lo scoppio.

Nel 1986 Chernobyl quei quattro reattori generavano mille megawatt l'uno - un totale di 4 gigawatt.

Nel 2018 Chernobyl quell'unica centrale solare generera' un megawatt di energia. 

Siamo ovviamente molto lontani da cio' che si produceva qui 32 anni da, ma chissa' che con tutta questa attivita', idee,  voglia di fare, e magari con un po di tempo, che il sole non possa arrivare a superare l'energia generata dall'atomo.

Senza radioattivizzare nessuno.




Friday, April 27, 2018

Corea del Sud: terremoto di magnitudo 5.5 da fracking per geotermia













“It would be a very a remarkable coincidence 
if this earthquake were to be unrelated 
to the activity at the site, 
given that it occurred so close to it. 
My own personal view is that it is highly likely there is a connection.”

Robert Westaway, Glasgow University



E' successo il 15 Novembre 2017, presso la citta' di Pohang, in Corea del Sud.

Un terremoto di magnitudo 5.5 ha sconvolto la zona, non abituata a tremori simili. E infatti non c'erano tracce di scosse cosi' forti in questo angolo di Corea fino ad allora.

Sono rimasti feriti in 82, e decine e decine di edifici sono stati danneggiati.
E' stato il secondo terremoto piu' forte della storia della Corea. 

E adesso un articolo su Science, appena pubblicato, dove viene avanzata la possibilita' che questa scossa sia dovuta alle trivelle. Per la precisione al fracking, cioe' all'iniezione ad alta pressione di liquidi e composti chimici per "fratturare idricamente" la roccia, spaccarla, e far uscire gas o altre sostanze dalle piccole cavita' di roccie porose chiame scisti.

Solo che in questo caso non si voleva raccogliere gas metano e nemmeno petrolio da queste cavita' ma fluidi e vapori utili per creare energia geotermica.

In quetso caso, sono state iniettate sottoterra migliaia e migliaia di liquidi per fare fratturazione idraulica, a circa 4 chilometri sotto la crosta terrestre. Il fracking e' sato effettuato fra gli inizi del 2016 e il Settembre 2017, un anno e mezzo circa.

Pohang non e' lontata dai siti trivellanti.

Vivono qui 500mila persone.

Dopo due mesi, voila', il terremoto e lungo il corso di due settimane, altre 46 scosse di assestamento. Tutti i terremoti sono avvenuti a meno di due chilometri dal sito del fracking. Tutte le scosse avevano epicentro alla stessa profondita' delle iniezioni per il fracking.

Le correlazioni spazio-temporali sono veramente troppo apparenti da poter essere ignorate.

E poi ci sono immagini da satellite che confermano che il terremoto principale, quello di magnitudo 5.5, ha sollevato la terra di circa 5 centimetri. La zona prima delle scosse del 2017 non era considerata sismica.

Oltre all'articolo menzionato in alto, ce ne sono altri, di altri gruppi, che arrivano alla stessa conclusione: c'e' stata la mano dell'uomo nello stimolare questo terremoto, il secondo piu' forte della storia recente della Corea. 

Le inieizioni di materiale trivellante da fracking causa trivelle per due motivi: uno perche' vengono lubrificate le faglie naturali, favorendo i movimenti sotterranei, e due perche' si possono creare squilibri in zone di equilibrio precario, favorendo movimenti in una direzione o in un altra.

Ma come si fa a decidere se un terremoto e' "naturale" o "indotto"?   Gia' nel 1993 due sismologi americani, i padri della sismcita' indotta, Scott Davis and Cliff Frohlich pubblicano un elenco di sei criteri base. Fra questi, il fatto che, ovviamente, terremoti e siti disturbati dall'uomo siano vicini nello spazio e nel tempo.

Nel caso di di Pohang pero' mancano un criterio: ci sono due mesi fra la fine delle trivelle e l'inizio delle scosse. Secondo gli autori questo e' probabilmente causa di alcune reazioni chimiche stimolate dal fracking che hanno fatto dissolvere la roccia sottostante, rompendo gli equilibri esistenti, e portando a movimenti forti. Le reazioni chimiche non sono state immediate, ma c'e' voluto del tempo, portando a questi ritardi nelle scosse.

Un altro aspetto inquietante dei terremoti di Pohang e' che siccome la stimolazione iniziale non era sufficente, hanno pompato sempre di piu' le pressioni dei fluidi da fracking, e alla fine, aumenta aumenta, non solo e' stato generato fluido geotermico, ma pure i terremoti. In una citta' di 500mila persone!

Che fare?

Certo la prima cosa e' non trivellare, per fluidi geotermici, per petrolio, per gas, per qualsiasi cosa vicino a centri abitati.  E questo specie perche' non e' ben chiaro quale sia la relazione fra fluidi  da fracking pompati sotto terra e l'energia rilasciata. E poi, il buon senso ci obbliga sempre a pensare di trovare energia piu' sana, che non abbisogni di fare buchi in profondita' e che sia associata a tutti questi rischi.

Perche' racconto questa storia? Perche' ci insegna tante cose.

Perche' anche se e quando crediamo di conoscere e di poter prevedere la natura, lei ci mostra che non e' cosi, e siamo dei presuntuosi a pensare di poter sempre vincere noi. La natura segue le sue leggi e i suoi criteri, e se stuzzicata, risponde. Alla fine a pagare il prezzo non sono stati gli ingegneri o chi trivellava, quanto quelle 82 persone rimaste ferite, e tutto il paese di Pohang preso dalla paura e con gli edifici inagibili.

Perche' e' stata qui l'ingordigia di chi trivellava che ha aumentato le pressioni dei fluidi da fracking finche' non sono riusciti ad arrivare all'obiettivo, senza chiedersi se potevano esserci conseguenze, se era il caso di fermarsi, se davvero questo fluidi geotermico gli serviva cosi tanto da mettere a rischio una intera citta'. 

Perche' l'area era non sismica e l'azione dell'uomo ha portato ad un terremoto di magnitudo 5.5.

Perche' come sempre, occorre far tesoro delle esperienze degli altri.

L'Italia come Pohang e' densamente popolata. Ma differenza di Pohang e' sismica, tutta. A differenza di Pohang ha una storia archiettonica datata, che la rende piu' fraglie e delicata.  Non possiamo assolutamente permetterci di bucare e stimolare e pompare materiale da e nel sottosuolo in questa nazione.

Tutte queste tecniche di super-sfruttamento del sottosuolo un giorno portano il conto,
e la domanda e' sempre: cui prodest?








Tuesday, April 24, 2018

Bali, Indonesia: il mare sommerso di plastica











Foto di Richard Horner, non lontano da Bali, Indonesia


Foto di altri turisti e locali, sempre attorno a Bali

 


 





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Vita in Indonesia

Marzo 2018: un isolotto sommerso di plastica compare nel mezzo del mare d'Indonesia, vicino a Bali.

E' questo, l'Indonesia, un paese che ha enormi problemi di plastica e di inquinamento da plastica. L'isolotto in questione e' stato formato da tutta la plastica che arriva dai fiumi del paese e che ha trovato un punto comune di approdo. Ci sono qui bottiglie di plastica, borse della spesa, bicchieri di polistirolo, un po' di tutto, tutto spinto dalle correnti marine.

E' stato scoperto da un britannico, Richard Horner, che vive fra in Indonesia da circa dieci anni e che spesso si dirige in zone poco frequentate del mare per fare immersione.

In Marzo appunto ha scoperto l'isola di plastica non lontana da Bali, che e' una provincia dell'Indonesia e l'ha filmata.

Ma non c'e' solo lui, quanto tutto uno stuolo di residenti e turisti che vedono il mare plastificato e che quantomeno cercano di creare attenzione per il problema.

In mezzo a tutta questa plastica che corre, pesci che cercano di orientarsi alla meno peggio, plankton, meduse, rami di alberi, tutta una brodaglia artificiale e naturale, che non puo' che avere conseguenze negative sui pesci, sulle persone.

Intanto sulla terraferma, i fiumi sono letteralmente al punto di soffocamento, se si sono creati isole di plastica nel mare, vuol dire che la situazione scoppia in terraterma. E infatti la situazione e' cosi grave che hanno dovuto chiamare l'esercito.

Ma piu' plastica toglievano, piu' ne arrivava.

E infatti le operazioni di pulizia sono state mal coordinate. I camion per portare via la plastica non sono mai arrivati. Semplicemente il gruppo di soldati X mandava la plastica a valle e arrivava nell'area di pulizia del gruppo di soldati Y.  Le fatiche di Sisifo, dunque.

"Il nostro piu' grande nemico non e' un vero nemico, in carne ed ossa, il nostro piu' grande nemico e' la monnezza".

Parole del rappresentante dell'esercito mandato a cercare di pulire la plastica dai fiumi.

E' questa plastica non e' solo brutta da vedere, o un pericolo per i pesci che la mangiano. Cambia tutto l'ecosistema: per esempio, i coralli dove va a depositarsi la plastica hanno una probabilita' 20 volte superiore di ammalarsi rispetto a coralli senza plastica. E questo perche' il corallo resta privo di luce, si accumulano maggiormente tossine. 

Ogni minuto gettiamo a mare un camion di monezza.

E l'Indonesia assieme ad altri 4 paesi asiatici e' responsabile del 60 percento della plastica negli oceani. Secondo altre statistiche invece i paesi asiatici sono responsabili dell'86 percento della monnezza nel mare. 

Come mai?

Perche' manca la cultura dell'ambiente, perche' il lavoro di gestione dell'immondizia non e' stato al passo con la crescita economica, l'aumento di popolazione e l'ubiquita' della plastica. Se prima si usavano foglie di banana per avvolgere riso ed altro cibo, adesso si usano involucri di plastica. E la cultura e' tale che "tutto si butta al fiume". Ma mentre il fiume puo' riassorbire le foglie di banana, non e' altrettanto facile per la plastica.

E nessuno pensa alle conseguenze.

E i fiumi scoppiano. Ci sono delle prime iniziative, come il vuoto a rendere per contenitori di plastica, ma sono strutture rare ed isolate e ci vorra tempo per cambiare le mentalita'.