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Tuesday, May 31, 2016

2016: piu' lavoro nelle rinnovabili che nel petrolio, gas e carbone messi assieme






Il rapporto dell'International Renewable Energy Agency (IRENA) annuncia che per la prima volta 
a livello globale il lavoro nell'energia green ha superato quello nel petrolio, gas e carbone. Cioe' il sole e il vento battono tutte le fossili assieme. 

A livello globale, il lavoro verde e' cresciuto del 5% nel 2015 fino ad arrivare a 8.1 milioni di impiegati. Rispetto a dieci anni fa e' un aumento del 400%. A causa del crollo dei prezzi del petrolio invece i petrolieri hanno perso 350,000 posti di lavoro.  La maggior parte dei posti di lavoro e' in Cina, dove vengono creati la maggior parte dei pannelli solari. Crescono le installazioni, e il personale addetto, specie negli USA. 

La cosa piu' importante di tutte e' che in questo momento le rinnovabili sono competitive con le fossili, nella maggior parte del pianeta.  Cresce il numero di comunita' a livello mondiale con obiettivi di 100% rinnovabile, e crescono i movimenti di persone che lo esigono.
 
Purtroppo invece, gli investimenti nelle fossili, sono ancora tre volte quelli nelle rinnovabili.

 
In Europa il principale fornitore di lavoro verde e' la Germania, dove il numero di addetti e' maggiore che in Francia, the UK e in Italia messi assieme. In generale pero' l'Europa e' in un periodo di declino: gli investimenti calano. Ma a causa delle politiche di anni precedenti, Germania, Svezia e Danimarca sono ancora fra i principali generatori di energia rinnovabile pro-capita.
 
Il Giappone e' cresciuto del 28% in soli due anni. 
 
Oltre alla Cina, molti sono i posti di lavoro nuovi in Brasile, USA, India, Giappone e Germania. 
 
Prima e' l'industria fotovoltaica con 2.8 milioni di addetti nella produzione, installazione e manutenzione. A seguire il bio-carburanti con 1.7 milioni di persone, e poi il vento con 1.1 milioni di lavoratori.

I mercati migliori per le rinnovabili, con enorme potenziale pero' sono i paesi in via di sviluppo e senza rete elettrica stabile - Bangladesh, India, Kenya. Saranno loro a portare avanti avanti la rivoluzione del sole distribuito semplicemente perche e' piu' facile installare sistemi locali, semplici e adattabili su scala piccola ma diffusa. Anche in North Korea l'uso dei pannelli solari aumenta, per lo stesso motivo: la scarsa affidabilita' della rete elettrica. 
 
 Paesi come il Marocco, l'Uruguay, l'Honduras, il Nicaragua, il Sud Africa e la Giordania hanno speso circa l'1% del loro PIL per aumentare la propria fornitura di energia rinnovabile. Certo, sono paesi molto piu' piccoli e con economie piu' piccole della Cina o del Giappone, ma lo stesso l'1% del PIL e' impressionante.
 
C'e' anche la guerra dei prezzi: USA e EU hanno spesso criticato i cinesi perche' vendono pannelli sottocosto per uccidere la competizione altrove. Sono arrivate tasse sulle importazioni cinesi in vari paesi, ma la Cina ha deciso di delocalizzare, con fabbriche cinesi ora in Malesia, Thailandia, India, Brasile e pure negli USA. Questo per far capire quanto lucrativo sia il mercato del sole.

Secono il direttore di IRENA, Adnan Amin, la crescita nel sole e nel vento e' importante, perche' e' in netto constrasto con quello che accade con le fonti fossili, dove i posti di lavoro diminuiscono. La tendenza al rialzo per il lavoro green continuera' ad aumentare, perche' il costo delle rinnovabili dinimuisce, e gli accordi di Parigi pian piano devono essere implementati.

E quindi c'e' voglia e necessita' di sole e di vento, di pulizia e di affidabilita', di energia a basso costo e facile da installare.

Secondo IRENA se tutto va come dovrebbe, il lavoro da rinnovabili triplichera' entro il 2030, a 24 milioni di unita'.



Il Financial Times ai petrolieri: rassegnatevi alla fine







Instead of railing against climate policies, or paying them lip-service 
while quietly defying them with investment decisions,
 the oil companies will serve their investors and society better 
if they accept the limits they face, and 
embrace a future of long-term decline.



Chi l'avrebbe mai detto. Un editoriale del Financial Times, pubblicazione da sempre pro-petrolio, che pubblica un editoriale in cui si consiglia ai petrolieri di accettare che il futuro per loro sara' fatto di un declino lento ed inesorabile.

L'editoriale pubblicato ieri 28 Maggio 2016 dice che invece di combattere contro le politiche fatte dai vari paesi per contrastare i cambiamenti climatici, o facendo solo piccoli gesti pro-forma mentre si continua ad investire nelle fossili, i petrolieri farebbero un servizio migliore a se stessi e alla societa' se accettassero che il loro futuro e' fatto un declino lungo e inesorabile.

Il Financial Times punta il dito contro Exxon and Chevron per avere a lungo negato gli effetti dei cambiamenti climatici.

Il giorno 25 Maggio 2016 infatti, i vertici della Exxon hanno detto no a tutte le richieste di trasparenza sui cambiamenti climatici avanzate dagli investitori eccetto che ad una. La stessa cosa e' capitata con all'incontro annuale con gli investitori BP, qualche mese fa, in cui i vertici dell'azienda hanno similmente detto no a discussioni, a maggiori studi, a maggiori dichiarazioni e trasparenza sui legami petrolio-clima-business. Idem per Shell e Statoil di Norvegia. Tutte al bavaglio. 

Il Financial Times dice che questi meeting fra investitori, vertici e dirigenti e' quasi una sorta di sessione di terapia per i petrolieri, in cui si cercano di capire le conseguenze degli accordi di Parigi e della necessita' di prendere decisioni per contenere l'aumento di temperatura a meno di 2 gradi centigradi.

Ovviamente la risposta a questi pensieri e' che il petrolio dovrebbe restare sottoterra, ma loro non ci riescono proprio a capire, a fare questo legame logico.

Secondo il Financial Times

The international objective of holding the increase in global temperatures to “well below” 2C, agreed at the Paris climate talks last year, implies the obsolescence of all fossil fuel production within the next few decades. The oil companies have not yet reconciled themselves to quite what this means.

Cioe' Parigi significa che la produzione di petrolio diventera' obsoleta.

Non e' parola di Greenpeace, ma del Financial Times, una delle principali pubblicazioni finanziarie del Regno Unito.

Il Financial Times dice che se i governi veramente seguiranno cio' che si e' deciso a Parigi i petrolieri dovranno trovare un qualche modo di fermare le emissioni di gas serra, mettersi a fare rinnovabili o chiudere battenti. Quartium non datur.

Dicono che in tutte queste riunioni si litiga e si discute, che gli Europei sono gia' piu' pronti ad ammettere i pericoli dei cambiamenti climatici rispetto ai petrolieri d'America. Che in generale si parla di piu' di tenere i costi bassi e di sicurezza nazionale, piuttosto che di ridurre le emissioni. Non ne vogliono sentire!

Ma mentre chi comanda e' restio all'idea di esplorare in dettaglio cosa succederebbe alle varie Exxon, Shell, BP, Chevron, al loro business e alla loro profitto con il vincolo dei due gradi, la risposta la da la rivista Nature

Secondo loro per tenere fede a Parigi e all'aumento dei due gradi, un terzo delle riserve petrolifere e meta' del gas del mondo dovrebbe restare sottoterra.

Il messaggio che non vogliono sentire e' che la crescita sara' scarsa e ridotta, e che nel lungo termine la produzione dinimuira' invece che aumentare.

Il Financial Times conclude con:

Invece di schiamazzare contro le politiche di contenimento dei cambiamenti climatici, o far finta di agire mentre segretamente si cerca di raggirarle quando si fanno gli investimenti, i petrolieri sarebbero di maggior servizio ai loro investitori e alla societa' se invece accettassero i limiti che hanno davanti e si preparassero ad un futuro a lungo termine fatto di inesorabile declino.

Amen.








Monday, May 30, 2016

UNESCO: con i cambiamenti climatici scompariranno la Statua della Liberta', Venezia, l'Isola di Pasqua e Stonehenge



 “Climate change is affecting World Heritage sites 
across the globe"

Adam Markham, Union of Concerned Scientists

Sono 31 i siti protetti UNESCO che secondo uno studio dell'ONU potrbbero scomparire o essere perennemente danneggiati a causa dei cambiamenti climatici. Si tratta di siti noti in 29 paesi che a causa di aumento di temperatura e di livelli del mare, o di tempeste e siccita' potrebbero scomparire.

Fra queste localita' i canali di Venezia in Italia, l'Isola di Pasqua del Cile, Stonehenge in UK e la Statua della Liberta' a New York, il parco Yellowstone, la penisola Shiretoko in Giappone, le isole
Galapagos in Ecuador, Cape Floral Kingdom in Sud Africa e la citta' di Cartagena in Colombia, la Nuova Caledonia.

Le localita' arrivano dopo una serie di studi di articoli pubblicati su articoli scientifici, rapporti tecnici e input da esperti locali, coordinati da UNESCO, ONU e dal cosiddetto Union of Concerned Scientist, l'unione di scienziati preoccupati.

Il rapporto si chiama “World Heritage and Tourism in a Changing Climate” e si chiede alle nazioni coinvolte di fare di piu' per proteggere tali siti, anche con maggiori investimenti economici.

I gestori della Statua della Liberta' hanno gia' detto che stanno intensificando le protezioni per l'isola, anche in ricordo della tragedia dell'uragano Sandy del 2012. Allora ci furono 77 milioni di dollari di danni e che l'allagamento di Ellis Island, l'isola accanto a Miss Liberty che accoglieva un tempo gli immigrati. Anzi, il National Park Service dice che a parte il valore monetario dell'isola, stimato in 1.5 miliardi di dollari e del turismo che genera, la sua perdita sarebbe devastante e incalcolabile per quello che rappresenta in termini di democrazia e liberta'. Le autorita' americane hanno stanziato 100 milioni di dollari solo per proteggere la Statua della Liberta'.

Fra le altre isole maggiornmente in pericolo c'e' l'isola di Pasqua dove le varie statue di oltre 500 anni sono in pericolo a causa delle ondate che continuano ad indebolire e a scalfirle, e a causa dell'erosione costale. 

Quella che invece non c'e' e' la grande barriera corallina d'Australia, che e' gia' morta al 93-95%. Il governo australiano ha fatto enormi pressioni per eliminarla dalla lista, non perche' i pericoli non ci fossero ma perche' temevano di perdere turisti. 

Quando si dice la testa sotto la sabbia, eh? 

E in Italia?

E Venezia non ci preoccupa? 

Perche' queste notizie non sono scritte a caratteri cubitali sulle pagine della stampa italiana? Dopotutto di Venezia ce n'e' una sola. E se quelli della Statua della Liberta' prendono queste cose seriamente, perche', almeno da quello leggo io, a Venezia a malapena si parla di come proteggere la citta' dai cambiamenti climatici?

E Matteo Renzi, favorevole alle trivelle nazionali, lo sa che il passo fra petrolio e cambiamenti climatici e' brevissimo? Queste cose su Venezia non lo spaventano? O e' un grande complotto dell'ONU e dell'UNESCO? 

Ha qualcosa da dire su Venezia e come pensa di proteggerla? O parla solo quando si tratta di petrolio?

Tutto tace, tuttappposto. Finche' un giorno non lo sara' piu'. 




Sunday, May 29, 2016

Altri attacchi dei Niger Delta Avengers contro l'ENI in Nigeria





I Niger Delta Avengers attaccano ancora lo stato nigeriano del Bayelsa facendo espoldere un oleodotto dell'ENI.  Si tratta del Tebidaba-Brass pipeline che ha come sbocco il cosiddetto Agip Brass crude oil terminal.  Con l'attacco sono andati in fumo circa 4000 barili di petrolio. Gia' in passato c'erano stati altri attacchi contro infrastruttura ENI.  Cosa vogliono? Maggiore equita' nella distribuzione delle risorse petrolifere: agli stranieri e a pochi eletti soldi e vantaggi, agli altri poverta' e disoccupazione. 


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19 Febbraio 2016 -- Clough Creek Tebidaba Agip Pipeline Manifold, 
Bayelsa, Nigeria 
uno dei primi oleodotti fatti saltare in aria dai militanti 


La maggior parte delle immagini che seguono sono impianti 
Agip o Shell sotto attacco









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1 Giugno 2016, Chevron


Update 1 Giugno 2016

I Niger Delta Avengers hanno oggi atttaccato i pozzi di petrolio della Chevron, distruggendoli. Si chiamano RMP 23 and RMP 24. Questi pozzi sono stati assaltati con 100 navi militari e cacciabombardieri. E poi si sono presi gioco del governo di Nigeria, prendendoli in giro perche' non sono stati capaci di fare niente contro di loro. 


"Watch out something big is about to happen and it will shock the whole world"


Si chiamano Niger Delta Avengers e sono un gruppo di disperati e di esaltati ribelli che hanno iniziato a fare esplodere oleodotti e condutture in Nigeria.

I loro obiettivi sono l'Agip e la Shell. Per ora hanno fatto saltare le condutture di Nembe e di Bonny della Shell e di Brass dell'Agip nello stato del Bayelsa il giorno 28 Maggio 2016. Hanno detto che continueranno con i loro atti di vandalismo finche' le loro richieste non saranno soddisfatte. Nei loro comunicati su twitter dicono che hanno gia' fatto saltare altri oleodotti nel paese, di proprieta' della Nigerian National Petroleum Corporation e che ora e' il turno di Shell e di Agip.

La Chevron e' stata gia' attaccata la scorsa settimana.  Anzi, attacchi piu' o meno imponenti sull'infrastruttura petrolifera della Nigeria da parte di questi Avengers e da altri gruppi sconosciuti vanno avanti da settimane.

E quali sarebbero queste richieste? Cosa vogliono? Dicono che sono stanchi di contratti fra le loro terre e i petrolieri in cui si decide su oleodotti e su estrazioni senza l'input delle persone, e con pochi ritorni per i residenti. Dicono che vogliono essere loro artefici del loro destino e avere il controllo sulle risorse del paese. Hanno soldati, e sono arrabbiati anche contro il loro stesso governo che continua ad avvantaggiare i petrolieri e non la gente.

Per esempio, il giorno 11 Maggio 2016 i sussidi sulla benzina sono stati eliminati, a causa del declino degli intoiti e del crollo dei prezzi del petrolio, facendo raddoppiare i prezzi alla pompa e infuriando i residenti che hanno chiamato questo aumento "inumano". 

I Niger Delta Avengers dicono che tutte le ditte straniere devono lasciare il sud della Nigeria, dove si produce la maggior parte del petrolio del paese, entro il 31 Maggio 2016. 

A causa di questi ripetuti attacchi la produzione di petrolio della Nigeria e' calata da 2.2 milioni di barili al giorno a 1.4 milioni di barili, e alcune ditte straniere hanno gia aumentato sicurezza e spostato personale non indispensabile.

La cosa sorprendente e' pero' che nonstante la violenza e la paura, anche i leader di alcune comunita' locali, spesso attivisti non violenti,  appoggiano i Niger Delta Avengers perche' sono d'accordo con loro che c'e' bisogno di una maggiore e piu' equa ridistribuzione della ricchezza da petrolio, e che le trivelle hanno distrutto il loro habitat e le vite di migliaia di pescatori e contadini.

Non si sa chi finanzi questi Avenegers. Si sa solo che a causa loro la Nigeria e' ora il secondo produttore di petrolio in Africa, e che adesso il principale trivellatore e' l'Angola.

Ovviamente la violenza e' sempre da condannare, ma e' questo il risultato di cinquant'anni di sfruttamento irresposabile da parte di Chevron, Agip e Shell in Nigeria.  A un certo punto scoppia.

Si raccoglie sempre quello che si semina.

Saturday, May 28, 2016

La disperazione del Venezuela: fame, tutto spento, tutto chiuso






Dodici uova costano, al mercato nero, 150 dollari.

Continua la discesa del Venezuela nell'abisso. 

A me pare tutto cosi grave e cosi preoccupante, e non capisco perche' la stampa italiana non ne parli in nessuna maniera.

I tribunali sono chiusi, non c'e' cibo nei supermercati, e alcuni uffici pubblici sono stati trasformati in punti di distribuzione di cibo (se c'e') per i poveri. Il sistema sanitario e' collassato, l'inflazione aumenta e il tasso di criminalita' e' alle stelle. L'inflazione per il 2016 e' stimata essere al 720%. Cioe' al 1 Gennaio costava 1, al 31 Dicembre costera' 8.2. Questo secondo il Fondo Monetario Internazionale. Secondo altre fonti si potrebbe arrivare anche al 1200%.

E' iniziato il razionmento dell'elettricita'. I telefoni non funzionano. La Coca Cola ha finito lo zucchero e non imbottiglia piu'. I panifici sono fermi perche' manca la farina. Le scuole sono chiuse al Venerdia' perche' manca l'elettricita'. A Caracas l'acqua arriva una volta alla settimana. Marrone. Aumentano i casi di infezione, di irritazione alla pelle per la mancanza di igiene e perche l'acqua quando arriva non e' pulita. Il traffico e' scomparso, insieme al lavoro e ai soldi.

Gli stipendi non bastano piu: va tutto via solo per fare la spesa. Se si va al supermercato nazionale,
le ditte Mercal e Bicentenario, che hanno prezzi regolamentati, occorre andarci la sera prima, e aspettare tutta la notte, sperando che ci sia ancora qualcosa. E poi ci sono i furti quando si esce dal supermercato. Ma ormai andare al supermercato e' una impresa disperata. La maggior parte del cibo lo si compra adesso al mercato nero. 

Uova? Dodici per l'equivalente di $150 dollari USA al cambio ufficiale.

Latte? Fino a $100 dollari al litro al cambio ufficiale.

Farina di Mais? $18 dollari al chilo al cambio ufficiale.

La gente continua a protestare.  

Il presidente Maduro e' sempre piu' isolato. Brasile ed Uruguay hanno denunciato il suo cattivo modo di gestire il paese ed il caso. 

Perche' accade questo? 

1. Con il crollo del prezzo di petrolio l'unica esportazione del Venezuela che portava introiti - cioe' appunto il petrolio - ha smesso di far arrivare i petrodollari. 

2. Da anni il Venezuela importava tutto cio' che non era petrolio, dava enormi sussidi alla gente e cercava di controllare i prezzi. Non si e' sviluppata una economia sana, per cattiva gestione del governo centrale, e tutto faceva leva sul petrolio. Finito quello, e' finito anche il tempo delle vacche grasse. Chavez ebbe la brillante idea di nazionalizzare tutto o quasi. Ma chi e' stato poi messo al vertice delle ditte nazionalizzate o non era capace di farlo, o non ne aveva l'esperienza o pensava agli affari suoi. Ma mentre Chavez era carismatico, e il petrolio copriva tutti gli sbagli, adesso non e' piu' cosi. Con il crollo del prezzo del petrolio tutti i probelemi strutturali del paese sono venuti a galla. 

3. I debiti con l'estero restano, e si devono ripagare, ma adesso con meno soldi di prima. Le importazioni diminuiscono, per risparmiare, e questo causa la mancanza anche di beni di prima necessita'. Il Venezuela ha da restituire 120 miliardi di dollari, di cui 7 miliardi entro la fine del 2016. Non si sa da dove debbano venire questi quattrini

4. La siccita' ha fatto diminuire la generazione di elettricita' dall'idroelettrico, rendendo i problemi ancora piu' gravi.

5. La morte di Chavez ha portato piu' vigore all'opposizione politica, che e' adesso unita nel chiedere le dimisisoni di Maduro.

6. Una opzione sarebbe di dichiarare bancarotta, ma il debito del Venezuela e' nelle mani dell'ente nazionale del petrolio, il PDVSA. In caso di bancarotta, si temono azioni legali da parte di chi siede dentro al PDVSA, a fermi della produzione nazionale, e anche in sequestri delle proprieta' del PDVSA fuori dal Veneuela. Per esempio, il PDVSA e' proprietaria della Citgo Petroleum Corporation di Houston che a sua volta e ' proprietaria di tre raffinerie e di decine di stazioni di servizio negi USA. La Citgo e' una delle poche parti sane del PDVSA perche' genera introiti per il Venezuela e non e' in perdita. Gli USA sono, nonostante tutto, il principale cliente del Venezuela.  E quindi dichiarare fallimento significa tagliare anche il flusso di denaro che arriva dal PDVSA al paese.

7. In caso di bancarotta, si teme anche che il Venezuela possa fare la fine dell'Argentina, che dichiaro' bancarotta nel 2001 e che per dieci anni ne soffri' le conseguenze, economicamente, e politicamente. 

8. Per risparmiare, Maduro ha deciso di importare meno beni stranieri. All'inizio hanno pensato di aumentare salari e di stampare piu' soldi, ma questo ha solo creato inflazione. Troppi soldi, per pochi beni. Se l'inflazione e' del 720% quest'anno nel 2017 si prevede che arrivera' al 1700%.

9. Il tasso ufficiale del cambio e' di dieci bolivares per dollaro. Il tasso sul mercato nero e' di 1,100 bolivares per dollaro.  L'iperinflazione e' inarrestabile. Maduro non vuole diminuire il valore della moneta per salvare la faccia, e anche perche' il debito in bolivares tutto ad un tratto diventerebbe piu' costoso da ripagare.

10. I beni prodotti localmente, inclusa la benzina, sono poco costosi (quando ci sono) a causa di sussidi. Questo fa si che alcuni beni sono introvabili, ed altri sono disponibili a prezzi stracciati. Per di piu' la disponibilita' dei beni a prezzi stracciati varia di giorno in giorno. E quindi si svilippa una sorta di frenesia in cui ci si acaparra di tutto quando c'e' e quando costa poco per poi rivenderlo al mercato nero. Meta' dell'acquisto dei beni primari in Venezuela arriva dal mercato nero. In molti casi si tratta di una vera e propria "professione". Cioe' c'e' della gente che fa solo quello: l'arte del compare e poi del rivedere al mercato nero, visto che non c'e' altro lavoro.  

11. Questo processo del compra-rivendi ha portato alla nascita di una piccola classe di speculatori che hanno trovato il modo di arricchirsi, ma e' una economia malata, perche' il tempo non viene speso in produttivita' ma solo nel rincorrere soffiate e cercando di arrivare per primi ai supermercati. E' lavoro inproduttivo. Non e' che alla fine c'e' piu' farina. C'e' solo qualcuno che ci si e' arricchito nel comprarla e nel rivenderla.

12. Sotto Chavez, la nazionalizzazione fu quasi completa: telecomunicazioni, banche, acciaio, cemento, latte, e finanche la principale catena di supermercati del paese divento' pubblica. Ma chi venne messo a capo di queste ditte spesso era incapace, e non sapeva ne come gestire ne far crescere l'azienda in questione. La burocratizzazione aumento' e in parallelo il paese perse produttivita' e competenza.

13. La Cina, che riceve petrolio dal Venezuela ha perdonato 50 milardi di debito al paese. Ma non e' questa la via d'uscita. Non e' che ogni volta i cinesi possono "perdonare". Anzi, ultieriori richieste di prestiti sono piuttosto malvisti dai cinesi se non vengono risolte prima le questioni politiche del paese. 

Sic transit gloria petrolifera. 

Friday, May 27, 2016

India 2016 e cambiamenti climatici: siccita', caldo, morti































L'aumento di temperatura a livello globale sembra inarrestabile. Dal Febbraio 2015 ad oggi abbiamo registrato tredici mesi di caldo record, rispetto alle medie calcolate dal 1880. Le "anomalie" rispetto al 1900-2000 sono sempre piu' accentuate e marcate. La neve al polo nord si scioglie con 70 giorni di anticipo.

L'Australia ha appena avuto il suo Gennaio piu' caldo di sempre. Gli incendi senza sosta del Canada sono figlie di temperature record -- trenta gradi in Aprile! -- che hanno reso tutto arido e secco. Le temperature in Alaska hanno superato di 11 gradi la media.

Ma la situazione piu' grave e' in India dove la temperatura e' arrivata anche a 51 gradi. E' successo nel Rajasthan, ma in quasi tutta la nazione la temperatura' e stata sopra i 40 gradi per varie settimane. A Dehli, la capitale, la temperatura e' arrivata a 47 gradi.

Hanno sofferto tutti: animali nello zoo che sono stati sottoposti a docce fredde e a cui sono stati dati minerali per prevenire la disidtratazione. La richiesta di elettricita' e' aumentata come mai prima: la gente cercava di usare l'aria condizionata nelle case. Non sempre c'e' corrente.

I poliziotti sulle strade hanno ricevuto speciali soluzioni saline per energia e anche vestiti e sciarpe speciali con dentro dei cristalli idratanti disegnati per tenere i loro corpi piu' freschi.

Gli ospedali sono stati presi d'assalto con gente che si lamentava di insolazione.

In alcuni stati le scuole sono state chiuse con anticipo per il troppo caldo. I marciapiedi si sciolgono sotto i piedi dei pedoni.  I telefonini non funzionano piu: occorre avvolgerli in bende bagnate per venti minuti per farli rinfrescare prima di poter fare telefonate.

Ma dei tanti guai, i piu' gravi sono nelle zone rurali.

Il caldo e' stato devastante, in certi casi letale per chi vive in zone non urbane e per i quali il lavoro nei campi e' la principale fonte di sostentamento. Decine di migliaia di agricoltori hanno dovuto lasciare la propria terra dalla quale non si poteva piu' coltivare niente. Per il caldo e per la mancanza d'acqua.

Sono pure aumentati i suicidi fra i contadini. Trentasei contadini si sono suicidati in una settimana nello stato del Marathwada, dove e' rimasto solo l'1% delle riserve idriche. In una sola settimana! Nel corso degli scorsi 4 mesi e mezzo, la cifra e' arrivata a 450. Se si guarda allo scorso anno e mezzo, siamo a 1600 persone.

L'acqua potabile scarseggia un po dappertutto e quasi 330 milioni di persone sono a rischio siccita'. Nel 2015 sono morte quasi 2400 persone in India a causa delle ondate di caldo, per quest'anno ci si aspetta ancora peggio.

E' questo il risvolto umano dei cambiamenti climatici: le statistiche della NASA, il conto dei mesi piu o meno caldi, la misura di quanto gravi siano le anomalie del clima rispetto alla media, alla fine si traducono in vite umane. I cambiamenti climatici non sono solo grafici e numeri, sono persone, spesso le piu' indifese, con nessuno che lotta per i loro diritti. In India dovranno aspettare il prossimo monsone, a meta' giugno, per un qualche tipo di ritorno alla normalità'.

Questi sono i cambiamenti climatici.