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Tuesday, April 29, 2014

Atollo di Carteret: i profughi dei cambiamenti climatici

L'isola di Huene nell'arcipelago Carteret 
spaccata in due dall'innalzamento del livello del mare

Alberi che cadono

 La costa sommersa


L'atollo di Carteret

I profughi del clima, gli abitanti di Carteret


 Rufina Moi, la saggia dell'isola e la sua memoria.
Dice che sara' l'ultima ad andarsene

"We are so scared living on these atolls that any time soon waves 
will come and sweep over all of us."

Juliana Samsi, Arcipelago di Carteret, 
Papua Nuova Guinea


"We did not make this problem, you did."

Bernard Tunim, capo dell'isola di Han, 
quasi totalmente sommersa 

Grazie a Francesco Ferella


E' tutto scritto nel quinto rapporto dell’International Panel on Climate Change: il nostro pianeta e’ sempre piu’ caldo, i livelli degli oceani aumenta, la concentrazione di CO2 in atmosfera ha superato le 400 parti per milione e presto la temperatura del pianeta’ sara’ di 5 gradi superiore rispetto al livello pre-industriale: quasi il triplo del limite di sicurezza.

Ma tutto questo come si traduce nelle vite quotidiane delle persone?

Ecco uno dei tanti aspetti dei cambiamenti climatici: isolotti e atolli che vengono letteralmente inghiottiti dalle acque, lasciando indietro persone senza casa.

Siamo a Papua Nuova Guinea, dove sorge - ancora per poco - l’arcipelago Carteret.  L'acqua e' limipda e turchese, la sabbia bianca, e le palme ondeggiano con il vento. Sembrerebbero quasi isole per le vacanze esotiche. All'apice, la popolazione di Carteret era di circa 3300 persone. Ma se la si guarda adesso la devastazione delle isole collegata ai cambiamenti climatici e' evidente. Ci sono alberi sradicati e zanzare dappertutto, noci di cocco a marcire e tutto sa di sale.

L'arcipelago e' ora quasi completamente sommerso dal mare. Il National Tidal Centre (NTC) australiano riporta un aumento medio del livello dell’oceano di 10 centimetri in 20 anni.  Originariamente Carteret era formata da sei isole, poi l'isola di Huene fu spaccate in due dalle mareggiate. Le isole Han e Piun sono quasi completamente scomparse e si prevede che l’arcipelago scomparira’ del tutto nel 2015.

Le tempeste spesso arrivano di notte e fanno paura.  Alcune case sono state distrutte e cosi i raccolti inondati dalle mareggiate. La terra perde la sua fertilita' a causa del conseguente aumento di salinita’.  I campi di ortaggi sono diventati cosi' paludi zanzarose,  il taro, il sostentamento fondamentale degli isolani non cresce piu', gli alberi di noci di cocco e di banane muoiono e cadono. Carteret, un tempo autosufficente dal punto di vista alimentare, deve adesso importare cibo da fuori. L'acqua di alcuni pozzi artesiani e' diventata salata e non si puo' piu' bere cosi si cerca di raccogliere l'acqua piovana. Ci sono gia' casi di malaria e di malnutrizione fra i bambini.

Secondo l'UNESCO, gli isolani di Carteret sono i primi profughi ufficiali causati dal riscaldamento globale.

I residenti di Carteret vivono senza automobili ed elettricita'. Le loro isole sono remote, e si vive qui una vita semplice, quasi primitiva, in simbiosi con la natura ed i suoi ritmi.  Alcune isole hanno una radio o un televisore che funzionano con un generatore. Nell'isola di Han la TV fu regalata da un americano di San Francisco che vi trascorse due anni dopo che il suo aereo fu abbatutto durante la seconda guerra mondiale. Fece costruire un centro ricreativo e ancora adesso manda donazioni agli isolani per riconoscimento.

Quando sono iniziate le mareggiate, gli abitanti di Carteret pensavano di avere fatto qualcosa di male che avesse acceso l'ira dei loro antenati  - cosi hanno ucciso un maiale sacrficale e hanno parlato al vento, chiedendogli di calmarsi. Durante il corso degli scrosi venti, trenta anni hanno anche costruito delle barriere davanti le loro isole per cercare di fermare l'aumento del livello del mare. Ma nulla hanno potuto contro trecento anni di industrializzazione dell'occidente.

Gia' nel 1984 dieci famiglie erano state trasferite da Carteret all’isola di Bougainville, piu' grande e a circa 80 chilometri di distanza. Sorsero pero’ contrasti con le popolazioni autoctone gia' provate da una guerra civile finita nel 2005 e dopo pochi mesi i profughi di Carteret tornarono nella loro isola.

Nel 2008 un altro trasferimento finanziato dall’UNESCO e documentato nel pluripremiato Sun Come up: 40 famiglie spostate in un villaggio diverso di Bougainville, con la chiesa cattolica che dono' dei terreni per costuire case-palafitta rialzate da terra. Anche qui la convivenza si mostro' difficile e alcune famiglie tornarono indietro.

Non e' chiaro dove debbano andare i residenti di Carteret: per loro cambiare di isola e' qualcosa di profondo, e occorre essere particolarmente sensibili alle loro tradizioni, ai loro modi di vivere, alla loro cultura e come far si che queste possano integrarsi con quelle delle comunita' ospitanti. E anche se per noi occidentali un isola vale l'altra, per loro non e' cosi.

Uno dei residenti, Bernard Tunim, fu invitato a parlare al summit del clima di Copenhagen, nel 2009 e disse "Se gli Americani possono andare sulla luna e se gli olandesi possono rubare terra al mare, perche' non possono fare qualcosa per la nostra isola?".

Che risposta dargli?

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni stima che entro il 2050 saranno almeno 200 milioni le persone che saranno costrette a spostarsi per via dei cambiamenti climatici.







Saturday, April 26, 2014

Mrs. Parr contro i petrolieri: 3 milioni di dollari

Emma Parr

La signora Lisa Parr e sua figlia Emma

Il giorno del matrimonio, 2008

Bob Parr

Bob Parr in tribunale contro la Aruba Petroleum

Impianti petroliferi della Aruba Petroleum, a Decatur, Texas 
vicino alla casa della famiglia Parr

 Il Texas dall'alto

Ci sono voluti tre anni, ma alla fine la signora Lisa Parr ha avuto la meglio sui signori della Aruba Petroleum. Una giuria popolare il giorno 22 Aprile 2014 le ha assegnato 3 milioni di dollari come risarcimento dei danni da fracking subiti dalla sua famiglia.

E’ questo il primo caso di causa da fracking negli USA con regolare processo, dove i fraccanti vengono multati, in questo caso per "poisoning" -- avvelenamento. Spesso infatti, spaventati dalle lungaggini burocratiche e dai costi legali, le famiglie si accontentano di accordi privati con i petrolieri, fuori dal tribunali dove in cambio di soldi per la rilocazione i residenti accettano dei “gag orders” – cioe’ di tacere e non rendere pubblico l’inquinamento ed i danni subiti.

La signora Parr e la sua famiglia invece ebbero il coraggio, nel 2011, di denunciare la Aruba Petroleum che aveva trivellato decine di pozzi di gas naturali attorno la loro casa.

Siamo a Wise County, nel nord del Texas. Lisa e Bob Parr ci si trasferirono appena sposati nel 2008, in un ranch di loro proprieta'.  Erano appena iniziate le operazioni di fracking. Subito Lisa e Bob iniziarono ad avere problemi di salute. All'inizio pensavano che fosse influenza. Lisa si lamentava di problemi respiratori, nausea, eczemi e mal di testa. I suoi linfondi erano tutti infiammati e doloranti. Bob inizio’ ad avere frequenti casi di perdite di sangue dal naso – anche tre volte la settimana. Anche per la piccola Emma, figlia di Lisa, sangue dal naso, eczema, nausea ed asma. Ovviamente l’acqua di casa un tempo potabile divento’ imbevibile.

Dopo varie cure iniziali, e visto che nessuno dei sintomi migliorava, i dottori subito pensarono a qualcosa nell'ambiente che stava avvelenando la famiglia Parr.

E cosi', su suggerimento dei dottori Lisa Parr inizio' a chiedere ai suoi vicini se avevano visto o se sapevano qualcosa su quei pozzi dietro le loro case. Uno dei residenti, quasi per caso, aveva tenuto un registro di tutti i giorni in cui aveva visto o sentito perdite e riversamenti di materiale da fracking nell'ambiente.

Lisa prese nota e fece il paragone con le date in cui era stata al pronto soccorso. Le date erano identiche. Ogni volta che i pozzi avevano avuto un problema, lei o sua figlia erano state ricoverate.

E cosi, i Parr fecero causa. La ditta principale, responsabile della maggior parte dei pozzi attorno la loro casa e' proprio la Aruba Petroleum.

Il processo non e’ stato per niente facile perche’ i signori del petrolio hanno cercato il piu’ possibile di mettere in cattiva luce i comportamenti e le abitudini della famiglia Parr, pur di provare che non era colpa loro se questa famiglia, tutt’ a un tratto, ha avuto tutti questi problemi. Non ci sono riusciti e alla fine il buonsenso e la giustizia hanno prevalso.

Ma l’impatto di questa causa va ben oltre i 3 milioni di dollari della famiglia Parr. Qui infatti si e’ pronunciato un tribunale che ha deciso che i danni erano veri e significativi “beyond a reasonable doubt”. E questo potrebbe essere usato in molte altre cause contro i petrolieri e dare coraggio ad altre famiglie nella stessa situazione.

E’ per questo che i signori del petrolio non vogliono che questi tipi di denuncie vadano a processo. Hanno paura delle conseguenze sul lungo termine e preferiscono questi “gag orders” in cambio di silenzio. grazie al quale possono continuare a riepetere il mantra illusorio che non ci sono prove che il fracking causa danni alla salute.

La Aruba Petroleum fara’ appello. Dicono che siccome ci sono molti altri pozzi nella zona non e’ possibile sapere se sono state proprio le loro trivelle a causare i problemi della famiglia Parr. Notare che danno la colpa ad altri pozzi, ma questa volta non hanno potuto negare l’esistenza dei danni da fracking alla salute di Lisa, Bob ed Emma Parr.


Thursday, April 24, 2014

A Paolo Primavera: sono le trivelle che portano poverta' e disoccupazione

 Confindustria: il quartetto fossile d'Abruzzo




Cappelle, fotovoltaico e led fruttano 28 mila euro in 9 mesi


Poveretto, mi fa anche un po pena Paolo Primavera.

Non sa piu' cosa inventarsi per difendere l'indifendibile: il petrolio in Abruzzo. E cosi' oggi se ne esce con un titolone "Siamo contro chi vuole portare povertà e disoccupazione"

Lo siamo tutti, caro Paolo.

Il problema e' che noi tutti, persone normali, persone libere ed intelligenti, persone non ammanicate con i petrolieri o con interessi petroliferi da difendere, lo sappiamo tutti che e' il petrolio che non porta altro che poverta' e disoccupazione.

E non c'e' niente di populistico o di demagogico: e' la verita', semplice, chiara, pulita. La verita' che lei si ostina a non voler vedere da anni a questa parte.

E questa verita' e cosi lampante che non abbisogna dei suoi roboanti giri di parole, e delle sue frasi fiume in cui si fa di tutto un brodo, perche' basta andare nei distretti minerari di Basilicata o di Sicilia per vedere che il petrolio ha portato loro solo dolore, disperazione e disoccupazione.

E noi questo non lo vogliamo per l'Abruzzo del 2014.

La Sicilia, nonostante decenni e decenni di petrolio a Priolo-Siracusa-Melilli, a Gela e le piattaforme a Ragusa e' la regione piu' povera d'Italia. Ogni tanto si scambia di posto con la Basilicata, dove tutti gli indicatori sociali mostrano una perdita di qualita' di vita dopo le trivelle. Vogliamo entrare in loro compagnia?

In una frase lunghissima che mostra il suo pensiero contorto e contradditorio, Paolo Primavera dice  che Confindustria

E' dalla parte delle imprese associate che creano lavoro e ricchezza, in  ogni settore produttivo, compresi turismo, agroalimentare, vitivinicolo, e, ovviamente, quello degli  idrocarburi; è dalla parte di coloro che pensano allo sviluppo integrato del territorio, senza barriere ideologiche e attenti alle occasioni di  investimento che non ci si può permettere di perdere; è dalla parte delle numerose persone, imprenditori e  lavoratori, che per le opposizioni più strumentali a decine e decine di
progetti industriali (il Nimby è il peggiore dei mali di cui soffre  l'Abruzzo) non possono creare lavoro e dare e ricevere opportunità di uscita dalla crisi più profonda; è dalla parte delle  centinaia di imprese e migliaia di lavoratori abruzzesi del settore  Oil & Gas che in decenni di attività hanno prodotto occupazione,  tecnologia, qualità, sicurezza, esportate in tutto il mondo; è dalla parte di tanti giovani che cercano di professionalizzarsi, anche nelle nostre università abruzzesi, per trovare un lavoro sicuro, stimolante e ben retribuito; è dalla parte degli operatori turistici  della costa, dove le bandiere blu conquistate con grandi sforzi contrastano con i numerosi divieti di balneazione sanciti dall'ARTA, a causa dei sistemi depurativi pubblici inefficienti, e che vedono con grande preoccupazione la stagione ancora da avviare. 


Ma si rende conto delle assurdita' che dice?

Mi pare di leggere i giochini della settimana enigmistica dove dice: trova l'intruso: turismo, agroalimentare, vitivincolo, idrocarburi!!!

E poi, siccome non sa come spiegare i morti, l'agricoltura malata, la fine del turismo, la subsidenza, i terremoti e le paure associate, passa al tema "barriere ideologiche e nimby" che e' l'unica cosa che Confindustria puo' fare: attaccare i santi paladini dell'ambiente non su numeri e fatti, ma con insulti e con attacchi personali.

Caro Paolo, non c'e niente di ideologico in uno che vuole tenersi i polmoni sani, quelli suoi e dei suoi figli o che vuole andare a pesca in un mare blu, o che vuole mangiare ortaggi non avvelenati da scarti petroliferi radioattivi. Non c'e' Nimby nel volere la revoca dell'articolo 35, nel voler decidere del proprio territorio e nell' esigere che vinca il bene comune, e non quello dei petrolieri.

Mi fa ridere che Paolo Primavera dica di essere dalla parte degli operatori turistici della costa!
Oddio, ma come gli escono dalla bocca queste assurdita'?

Volete essere dalla parte degli operatori turistici distruggendo il litorale e riempendolo di FPSO, piattaforme, porti petroliferi?

Ma voi ci andate al mare a Marghera? A Gela? a Falconara? Ci andate a fare il picnic nella Val D'agri? Ci andate a prendere il sole sulla riviera del lago Pertusillo?

E le vostre mogli, cosa dicono di portarci li in villeggiatura i vostri bambini?

Insistono:

E' chiaro da che parte siamo?

A me, si, dalla parte del vile denaro.

E poi aggiungono

E sia altrettanto chiaro che Confindustria Chieti non permetterà a nessuno di far saltare il tessuto industriale  che con fatica resiste garantendo ancora il 30% del PIL regionale! Vigileremo con molta attenzione sulle scelte del prossimo governo regionale, denunciando ogni iniziativa che  vada in senso contrario allo sviluppo, e dando nome e cognome ad ogni responsabile della perdita di investimenti e lavoro! E i signori sindaci che non perdono occasione di vantarsi di aver bloccato questo o quel progetto dicano in primis ai loro cittadini cosa offrono in alternativa!

Ma per carita'.

Dicano apertamente se nel loro territorio deve sparire l'impresa industriale, e con cosa pensano di sostituire la ricchezza persa! Invece di fare passerelle preelettorali lavorino per la creazione di lavoro, eliminando la loro burocrazia, le loro inefficienze, le loro incompetenze.

Paolo, dai, esageri e spari a casaccio. Qui non si parla di "smantellare l'industria" si parla di SCEGLIERE se vogliamo essere Petrolio o Ambiente, Ombrina o Parco dei Trabocchi, perche' le due cose assieme, nononstante il suo populismo, questo si, non si possono fare. Capisce lei questo? Ha lei l'onesta intellettuale di riconoscere questo?

Vuole creare lavoro? Lavoro vero?

Glielo dico io: faccia cosi. Decidete che l'Abruzzo deve arrivare al 100% di energia rinnovabile e riempite i tetti delle case con pannelli solari, e fatevi promotori del risparmio energetico e delle modifiche alle case.

Decidete che si deve risanare Bussi, decementificare i fiumi, sistemare i ponti che crollano e i centri storici fatiscenti. E' lavoro anche questo, sa?

Magari non e' lavoro che piace alla Medoilgas o all' ENI e agli speculatori di turno, ma questo e' un problema di Medoilgas e di ENI e degli speculatori di turno.


E' molto facile parlare”contro”, quando lo si fa senza una proposta, col solo intento di distruggere ed in nome di un ambientalismo di retroguardia, che ha il solo obiettivo di far perdere altre migliaia di posti di lavoro nell’industria, come già è capitato, per esempio, ad Ortona, mandando in crisi anche il Porto che vive di industria petrolifera e provocando l’allontanamento delle aziende multinazionali che ancora credono di poter investire in Abruzzo, di fatto ignorando gli appelli che le migliaia di lavoratori e le centinaia di imprese morse dalla crisi fanno per chiedere lavoro e sviluppo


Invece il petrolio e' progresso, vero? E comunque le proposte gliele ho date sopra.
Il porto di Ortona e' in crisi? Migliaia di posti di lavoro? Ma che dice: il Centro Oli portava al massimo massimo 30 assunzioni! Magari qualcuno di piu all'indotto dei medici oncologi, o delle pompe funebri!

Sa una cosa caro Paolo Primavera: lei due paragrafi sopra diceva che Confindustria vuole aiutare gli operatori turistici. Lei pensa che il porto di Ortona aiuta il turismo? E chi ci va a vedere le navi petrolifere o tutti quei baracconi che sorgono lungo il porto di Ortona? O vogliamo parlare del lato sinistro della spiaggia dei Saraceni che e' cosi' oliosa che ti si appicicca tutto e io almeno non ci farei il bagno neanche se mi coprissero d'oro?

Li i miei nonni un tempo ci si facevano il bagno. Adesso il "porto petrolifero" ha tolto questa opportunita' e con essa la possibilita' di introiti, e ricchezza e sviluppo sano. Proprio il progresso, eh?
Ortona ha il porto da 50 anni almeno, non mi pare cosi ricca se rapportata alle altre citta' del circondiario.

Non è con il populismo e gli slogan che si governa una Regione; non è ignorando le realtà produttive che possono dare ancora risorse preziose in termini di posti di lavoro, tasse, investimenti, che si crea sviluppo; è solo riconoscendo la compatibilità tra industria, turismo, agricoltura, tutela delle qualità del nostro territorio, come la sua storia economica testimonia, che si può proiettare l'Abruzzo verso il futuro.


E' vero, e il populismo e tutto qui, nelle sue vuote parole di coeistenza fra cose che sono di per loro natura antitetiche: la vita e la morte.

Quando lei si costruira' un centro oli a 100 metri da casa sua, allora ne riparliamo, caro Paolo Priamver, presidente di Confindustria, amico dei petrolieri.

Wednesday, April 23, 2014

La lettera del vescovo Desmond Tutu sui cambiamenti climatici


Questa e' la lettera alla stampa inglese di Desmond Tutu, uno degli eroi contro l'apartheid e premio nobel per la pace di qualche tempo fa.

E' stata pubblicata il giorno 10 Aprile 2014 su The Guardian.

Venticinque anni fa, potremmo avere scusato molte persone per non saperne molto, o per non star facendo molto, sui cambiamenti climatici.

Oggi non abbiamo scuse.

I cambiamenti climatici non possono piu' essere liquidati come fantascienza: ne stiamo gia' sentendo gli effetti.

Questo e' il motivo per cui, non importa dove vivi, e' spaventoso che negli Stati Uniti si stia discutendo se approvare un enorme oleodotto per il trasporto di 830.000 barili del petrolio piu' sporco del mondo, dal Canada al Golfo del Messico. Produrre e trasportare queste quantità di petrolio, tramite l'oleodotto Keystone XL, potrebbe aumentare le emissioni di carbonio del Canada di oltre il 30%.

Se gli effetti negativi del gasdotto interessassero solo Canada e Stati Uniti, potremmo dire: buona fortuna a loro. Ma interessera' tutto il mondo, il nostro mondo comune, l'unico mondo che abbiamo. Noi non abbiamo molto tempo.Questa settimana a Berlino, scienziati e rappresentanti pubblici hanno analizzato le varie, radicali, opzioni per contenere le emissioni, come contenuto nel terzo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La linea di fondo e' che abbiamo 15 anni per adottare le misure necessarie.


Il cavallo non e' ancora scappato via, ma e' sulla buona strada verso l'uscita dalla porta della stalla.Chi può fermarlo? Beh, possiamo, io e te. E non è solo che siamo in grado di fermarlo, abbiamo la responsabilità di farlo. E' una responsabilità che inizia quando Dio comanda ai primi abitanti umani del giardino dell'Eden, perché lo "coltivasse e custodisse". Per mantenerlo e non per abusarne, o per distruggerlo.

Il sapore del "successo" nel nostro mondo impazzito e' misurato in dollari e franchi e rupie e yen. Il nostro desiderio di consumare e tutto cio' che possa avere un valore - di estrarre ogni pietra preziosa, ogni oncia di metallo, ogni goccia di petrolio, ogni tonno nel mare, ogni rinoceronte nella savana - non conosce limiti. Viviamo in un mondo dominato dall'avidita'. Abbiamo permesso agli interessi del capitale di superare gli interessi degli esseri umani e della nostra Terra.

Nel corso della mia vita ho creduto che l'unica risposta all'ingiustizia e' cio' che Mahatma Gandhi ha definito "resistenza passiva". Durante la lotta anti-apartheid in Sud Africa, con il boicottaggio, i disinvestimenti e le sanzioni, sostenute dai nostri amici oltremare, siamo stati in grado di esercitare una pressione economica sul nostro ingiusto stato, ma siamo riusciti anche ad esercitare una forte pressione morale.

E 'chiaro che i paesi e le aziende principalmente responsabili per l'emissione di anidride carbonica e dell'accelerazione dei cambiamenti climatici non se ne andranno da soli; hanno troppi interessi economici. Hanno bisogno di un sacco di "gentile persuasione" da parte nostra. E questo non significa che dobbiamo necessariamente privarci delle nostre auto e acquistare invece biciclette.

Ci sono molti modi in cui ognuno di noi puo' lottare contro i cambiamenti climatici: non sprecare energia, per esempio. Ma queste misure individuali non faranno una differenza abbastanza grande nel poco tempo che ci resta a disposizione.

Le persone coscienziose devono rompere i legami con le societa' che finanziano l'ingiustizia dei cambiamenti climatici. Possiamo, per esempio, boicottare squadre sportive e programmazione multimediale sponsorizzati da aziende energetiche di combustibili fossili. Possiamo esigere che gli annunci di aziende energetiche portano avvertenze per la salute. Possiamo esigere che sempre piu' le nostre universita' e municipalita' e istituzioni culturali taglino i loro legami con l'industria dei combustibili fossili. Possiamo organizzare giornate senza auto e costruire la piu' ampia consapevolezza sociale possibile. Possiamo chiedere le nostre comunita' religiose a pronunciarsi.

Siamo in grado di attivamente spingere le imprese energetiche a spendere maggiormente sullo sviluppo di prodotti energetici sostenibili, e siamo in grado di premiare quelle aziende che lo fanno utilizzandone i prodotti. Possiamo premere nostri governi ad investire nelle energie rinnovabili e smettere di sovvenzionare i combustibili fossili. Ove possibile, possiamo installare i nostri pannelli solari e scaldacqua.

Magari non potremo portare i petrolieri in bancarotta. Ma possiamo prendere provvedimenti per ridurne il peso politico, ed esigere che chi incamera i profitti sia anche responsabili per ripulire il pasticcio che ha creato.

E la buona notizia è che non dobbiamo ripartire da zero. I giovani di tutto il mondo hanno gia' iniziato a fare qualcosa al riguardo.

La campagna di disinvestimento da combustibili fossili e' la piu' rapida campagna istituzionale del suo genere nella storia.

Il mese scorso, il Sinodo generale della Chiesa d'Inghilterra ha votato in massa a rivedere la sua politica di investimento nei confronti delle imprese di combustibili fossili, con un vescovo riferendosi ai cambiamenti climatici come "il grande demone dei nostri giorni".

Già alcuni college e fondi pensione hanno dichiarato che vogliono che i loro investimenti siano congruenti con il loro credo religioso.

Non ha senso investire in societa' che distruggono il nostro futuro. Servire da custodi della creazione non deve essere un titolo vuoto; richiede invece il nostro agiare, e con tutta l'urgenza che questa terribile situazione ci richiede.

Tuesday, April 22, 2014

Earth day e i petrolieri




















Santa Barbara, 1969 dopo lo scoppio della Platform A della Union Oil.

Earth Day nasce per ricordare quell'evento e affinche' non si ripeta mai piu'.


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Si celebra oggi l'Earth Day in tutto il mondo: secondo il sito Earthday.org circa un miliardo di persone celebrereanno il pianeta e la necessita' di salvarlo.

Si spegneranno le luci, si parlera' di rinnovabili, di risorse della terra che non bastano per tutti, e della necessita' di vita piu' sobria, specie per noi occidentali.

Non sono pero' tanto sicura che ci si ricordera' da dove nasce l'Earth Day.

Il primo evento fu celebrato il 22 Aprile 1970, per volonta' del senatore democratico Gaylord Nelson del Wisconsin che decise di sensibilizzare la nazione sulla necessita' di proteggere l'ambiente.  Nelson era un ardente amante della natura e gia' durante la presidenza Kennedy aveva iniziato ad interessarsi a temi ambientali.

Era contro la guerra in Vietnam, a favore dei diritti civili e della giustizia sociale.

Il catalizzatore che lo spinse a creare l'Earth Day fu lo scoppio della piattaforma petrolifera detta Platform A nei mari di California, a Santa Barbara nel 1969 e lo sgorgare di circa dieci milioni di litri di petrolio e fanghi di perforazione in mare per ben 11 giorni. L'indomani dello scoppio Gaylord Nelson si reco' a Santa Barbara per toccare con mano la devastazione ambientale petrolifera.

Gaylord Nelson fu cosi colpito da quell'evento che non solo creo' l'Earth Day per commemorare l'evento l'anno successivo, ma fu anche il catalizzatore di tutto cio' che venne sulla scia dello scoppio di Santa Barbara: la creazione dell'Environmental Protection Agency (EPA), una sorta di ministero dell'ambiente, il National Environmental Policy Act (NEPA), che richiede la partecipazione pubblica in tutti i progetti di alto impatto ambientale, il primo dipartmento di studi ambientali presso l'Universita' di Santa Barbara, il Clean Water Act, legge federale approvata da Richard Nixon, la California Coastal Commission e la California Environmental Quality Act che si occupano invece di difendere le coste e l'ambiente di California.

Ma non era solo Gaylord Nelson. Grazie alla TV tutta la nazione pote' vedere per giorni e giorni le carcasse di delfini, gli uccelli morti, e la marea nera nei mari californiani. Ci fu lo scandalo popolare, tanto che lo stesso Richard Nixon, il presidente dell'epoca disse: "the incident has frankly touched the conscience of the American people."

Il numero di iscritti a organizzazioni ambientali negli USA raddoppio'.

Dopo un anno, il nero del petrolio era svanito dai mari di California, il verde dell'ambientalismo, no.  Quello dura tuttoggi.

Ieri sera anche a Otto e Mezzo, su la Sette, si e' parlato di Earth Day 2014 con Lilli Gruber. Mi sarebbe tanto piaciuto che durante la discussione i termovalorizzatori si fossero chiamati con il loro vero nome - inceneritori - che Chicco Testa fosse stato introdotto da Lilli Gruber come membro del direttivo di due ditte petrolifere - la Medoilgas di Londra che vuole trivellare Ortona ed i mari d'Abruzzo e la Cadogan Petroleum di Ucraina -  che si fosse parlato del disastro di Santa Barbara di tanti anni fa, e di tutto quello che la California ha imparato e cambiato grazie a quella enorme marea nera di tanti anni fa.

E' dal 1969, dopo lo scoppio di Santa Barbara, che in California non sono state piu' poste trivelle in mare. Ad oggi esiste una barriera protettiva di 160 chilometri da riva lungo tutta la costa.

E no, non siamo morti ne di fame ne di freddo.
Siamo lo stato piu' rispettoso dell'ambiente e al contempo il piu' ricco dell'unione.

Qui su Chicco Testa non-executive director della Medoilgas di Londra.

Qui sullo scoppio di Santa Barbara, California il 29 Gennaio 1969, il motore dell'Earth Day