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Friday, August 31, 2018

Storia della piattaforma Petrobras P36 esplosa ed affondata













Si chiamava P-36 e prima ancora Sprito di Colombo.

Era una unita' di produzione galleggiante costruita in Italia fra il 1984 e il 1994 poi mandata in Canada e ridisegnata per le esigenze di Petrobras fra il 1997 e il 1999. Fu finalmente eretta nel campo Roncador del Brasile nel 2000.

Al tempo la piu' grande piattaforma semisommergibile del mondo, collegata a 21 pozzi estrattivi e a 5 di reinizione. Il petrolio finiva su una piccola unita' di stoccaggio, poi immesso in petroliera e mandato altrove; il gas invece veniva mandato a terra lungo un gasdotto di 176 chilometri di estensione.

Da P36 potevano essere processati fino ad un massimo di 180mila barili di petrolio e 7.2 milioni di metri cubi di gas al giorno. Nel mese di Maggio 2001, l'ultimo della sua vita produceva 84,000 barili e 1.3 milioni di gas.

Il campo Roncador, la casa e ora il cimitero di P36,  invece si trova a 130km a nord est di Rio de Janeiro, nel giacimento ultraprofondo detto Campos Basin.

Tutto bene fino al 2001 quando due esplosioni destabilizzarono e che portarnono all'affondamento di P36.

Erano le 10 e mezza della sera del 14 Marzo 2001 quando iniziarono le operazioni di drenaggio di emergenza da una tanica usata per lo stoccaggio del petrolio. C'era stato un apparente insignificante incidente, e poi... voila' lo scoppio di mezzanotte.

Acqua e gas vennero rilasciati in atmosfera.

La piattaforma si incrino' verso il mare.

Un altra esplosione poco dopo.

Questa volta morirono in undici.

Ci fu un allagamento di vari comparti della piattaforma, e l'acqua del mare invase tutto.

La piattaforma si incrino' ancora, fino ad arrivare a 25 gradi.
Altra acqua, altra pendenza.

Nel frattempo erano arrivati i soccorsi. C'erano sulla piattaforma 175 persone. A parte le undici persone morte, tutte le altre furono salvate.

Si cerco' di recuperare la piattaforma in ogni modi possibile. Per esempio pomparono azotonei compartimenti allagati per scaricare l'acqua entrata. Niente da fare. In totale arrivarono qui 21 navi di emergenza che nulla poterono contro la forza di gravita' e di madre natura. Finalmente il giorno 20 Marzo 2001 la stessa fini' sommersa in mare. Il fondo era a 1,300 metri di profondita'.

Oltre alla piattaforma c'erano 9500 barili di petrolio a bordo, di cui circa 2000 finirono in mare il primo giorno.

Ci furono anche altre operazioni per cercare di disperdere il petrolio con sostanze chimiche ma alla fine i danni all'ambiente e alle persone furono ingenti. 

Qui la lista di tutti i fallimenti della P36.

Gia' nel 1977 pero' avevano scoperto l'esistenza di uno strato di gas nel petrolio, che era fra l'altro di cattiva' qualita', con forte concentrazione di impurita', anche sulfuree.

Perche' racconto questa storia? Perche' ogni tanto e' bene ricordare queste cose, che i signori del petrolio dicono sempre che tutto sara' fatto in sicurezza finche' poi tanta sicurezza non c'e', perche' come sempre, basta un errore per far andare tutto storto. Il tutto in cambio di inquinamento, di riscaldamento globale, di mega-corporazioni che fanno il bello e il cattivo tempo.

Non sapevo di questa storia di P36 prima di adesso.

Chissa' quante altre storie simili perse nella stampa di altro tempo e di gente morta per soddisfare la nostra sete di petrolio.


Tuesday, August 28, 2018

Nicolas Hulot, ministro dell'ambiente francese si dimette: non facciamo abbastanza per il pianeta



"Have we started to reduce the use of pesticides? 
The answer is no.

Have we started to stop the erosion of biodiversity? 
No.

Have we started to stop the artificialization of the land?
The answer is no.

Europe is not doing enough.
The world is not doing enough."

Nicolas Hulot, ex ministro dell'ambiente di Francia


Non e' un mistero per nessuno che io adoro le persone che vivono di ideali, costi quel che costi.

E cosi, mi rattrista ma mi fa ammirare molto di piu' il Ministro dell'Ambiente di Francia (o dovrei dire ex-Ministro dell'Ambiente di Francia) Nicholas Hulot che si e' oggi dimesso dal suo incarico.

Io lo ricordo per il suo coraggio di dire no alle trivelle future venture in Francia, annunciato qualche mese dopo il suo insediamento.

Dice che nonostante tutte le belle parole di Emmanuel Macron e degli altri non stiamo facendo abbastanza per il pianeta, contro i cambiamenti climatici.

Un passo indietro: dopo l'annuncio che gli USA si ritiravano dagli accordi sul clima di Parigi nel 2017, Emmanuel Macron si prese il manto semiufficiale del paladino dell'ambiente mondiale.

Per prendere in giro Trumo diceva "Make our planet great again," in risposta al motto di Trump "Make America great again", noto anche come MAGA.

Ma secondo Nicolas Hulot a parte le tante belle parole Macron e il suo governo non hanno fatto abbastanza. Parlare e promettere non e' sufficente. E cosi, senza dire niente a nessuno prima, va a fare una intervista telefonica in radio e si dimette, lasciando tutti di stucco.

Dice che e' una protesta delle politiche ambientali di Francia.

Dice che non vuole piu' mentire a se stesso e che non vuole dare l'illusione che la sua presenza in parlamento significhi che la Francia stia facendo tutto il possibile per salvare il pianeta. E cosi, decide di abbandonare il suo ministero.

Non lo sapeva neanche la moglie che si sarebbe dimesso.

Nicolas Hulot e' molto amato in Francia, era un annunciatore televisivo, parte del partito dei verdi. Dice che e' stata una delle decisioni piu' difficili della sua vita politica, ma che non ha avuto scelta perche' si e' trovato con le mani legate.

Esempi?

In primis la riluttanza del governo francese a dimezzare la quota di energia da nucleare entro il 2025. Altre decisioni che non sono piaciute Hulot e' il fatto che il governo di Francia abbia  reso piu' facile la caccia.

Le sue parole sono semplici e chiare:

Abbiamo iniziato a ridurre l'uso dei pesticidi? No.
Abbiamo iniziato a fermare l'erosione della biodiversita'? No.
Abbiamo iniziato a fermare l'artificializzazione della terra? No.

Certo e' che molte cose buone sono state fatte in Francia, come per esempio il fermo alla ricerca di petrolio, e di chiudere le centrali a carbone. Ma Hulot vorrebbe di piu'.

Macron dice che la Francia e' all'avanguardia per salvare al pianeta e anzi, il portavoce del governo dice di essere molto sorpreso da questa decisione, visto che molti successi ambientali sono venuti proprio grazie ad Hulot.

E anzi, dice che anche se non ha vinto tutte le sue battaglie, e' cosi che funziona in politica.

Credo che sia qui la questione: uno che ci crede davvero non puo' accontentarsi di passetti. Uno che ci crede vuole che tutto sia fatto con urgenza perche' il pianeta e' arrivato alla frutta.

Non so se per il bene del pianeta sia un bene o un male che Hulot si sia dimesso, ma capisco, un po almeno, cosa si turbasse nel suo animo.

Dice che non stiamo facendo abbastanza.

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.


Monday, August 27, 2018

L'ENI combina guai in Norvegia e viene sgridata dall'ente di sicurezza petrolifero








Eccoli qui, quella della nostra armata brancaleone.

L'ENI in Norvegia che periodicamente recepisce avvisi di mancato adempimento alle norme di sicurezza in Norvegia. 
 
Il castigatore e' sempre lo stesso, il Petroleum Safety Authority (PSA) che ha mandato l'ultimo avviso di una lunga serie all'ENI per le sue attivita' in Artico, nel campo Goliat.

Il PSA ha indagato le condizioni su Goliat dall'8 al 18 Giugno 2018.

Hanno determinato questa bella sfilza di "non conformities" in merito all'esecuzione delle trivellazioni, le operazioni sui pozzi, il management della preparazione in caso di energenza, le loro progettazioni e la valutazione del rischio.

Ecco cosa dicono:

Results

Non-conformities were identified in connection with:
  • Planning and risk management of drilling and well operations
  • Management of Change (MOC)
  • Systematic emergency preparedness training
  • Classification of safety-critical equipment
  • System for follow-up of competence and training of temporary employees
  • Training and exercises for drilling and well personnel
In addition, improvement points were identified in connection with:
  • IWCF Certification not carried out
  • Employee participation
  • Quality and language of procedures
  • Robustness in the event of nurse’s absence
  • Learning from well control incidents
  • Knowledge and use of Well Control Bridging Document


Cioe' l'ENI non e' in adempienza nelle proprie pianficazioni e nella valutazione del rischio delle sue trivelle, nell'addestramento del suo personale in caso di emergenza, nella formazione di lavoratori temporanei. In piu' devono migliorare le proprie certificazioni, e devono imparare dai vari incidenti sui pozzi.

Non e' la prima volta che accade tutto questo, e anzi, io credo che l'ENI ci sia abituata!

Ecco qui:


Goliat e' il campo petrolifero piu' a nord della Norvegia, a 85 chilometri a nord della terraferma. C'e' qui anche una FPSO. Il petrolio di Goliat e' in realta' di buona qualita', con indice API 32 e viene mandato nei mercati del Nord Europa.  Il 65% di Goliat e' dell'ENI, e il 35% della Statoil, ora chiamata Equinor.

Il tutto e' in azione dal 2016 ma i problemi esistono dal giorno in cui hanno aperto.

Produce solo i 2/3 di quanto inizialmente si progettava (11mila barili al giorno); ed e' stata chiusa diverse volte proprio per problemi alla sicurezza e all'ambiente.

Chissa' cosa succede esattamente, e' solo che essendo cosi lontano, cuore non vede occhio non duole. 

Perche' trivellano qui, in condizioni cosi estreme? Perche' la Norvegia sa che il bacino tradizionale da cui prende petrolio, il mare del nord, e' in declino, e quindi si spingono in posti sempre piu' delicati, piu' difficili, piu' imperversi.

E in questo caso si sono affidati all'ENI!

Solo che l'ENI non ci azzecca e cosi si sono pure messi in partnership con un ente privato, la Point Resources, nota anche come Var Energi "la nostra energia", per cercare di trivellare meglio, con piu' risorse e conoscenza della situazione norvegese con il target di ottimizzare tutto e di ottenere tutti assieme, ENI e Point Resources, 250mila barili al giorno entro il 2023.

Ambiziosi, eh?

Ma ci pensa l'ente di sicurezza petrolifera nazionale, il Petroleum Safety Authority a fermare la festa.

L'ENI dovra' rispondere il 21 Settembre 2018.

Vediamo che scuse si inventano.

Solo una domanda: ma dov'e' l'ente di sicurezza petrolifero d'Italia?
Chi fa controlli simili in Basilicata? A Ravenna? In Sicilia? In Veneto?

Dopotutto, e' sempre ENI e se non ci azzeccano in Norvegia, come facciamo a fidarci di loro in Italia?



Sunday, August 26, 2018

Il potere dell'albero urbano










U.S. urban land increased from 2.6% (57.9 million acres) in 2000 to 3.0% (68.0 million acres) in 2010. States with the greatest amount of urban growth were in the South/Southeast (TX, FL, NC, GA and SC). Between 2010 and 2060, urban land is projected to increase another 95.5 million acres to 163.1 million acres (8.6%) with 18 states projected to have an increase of over 2 million acres. Overall, there are an estimated 5.5 billion trees (39.4% tree cover) in urban areas nationally that contain 127 million acres of leaf area and 44 million tons of dry-weight leaf biomass. Annually, these trees produce a total of $18.3 billion in value related to air pollution removal ($5.4 billion), reduced building energy use ($5.4 billion), carbon sequestration ($4.8 billion) and avoided pollutant emis- sions ($2.7 billion). States with greatest annual urban forest values were: Florida ($1.9 billion), California ($1.4 billion), Pennsylvania ($1.1 billion), New York ($1.0 billion) and Ohio ($971 million).

Io non so cosa passi per la testa dei vari amministatori italiani che pare si divertano ad ammazzare quanti piu' alberi possibile.

Capisco che qualcuno di loro possa essere un pericolo, ma a volte mi pare di vedere interi viali decimati di alberi, trasformandoli da piccole oasi di verde in un ammasso di cemento brutto, senza ombra e senza pace.

Non so neanche se ci siano studi su cosa possa fare un albero per le nostre città italiane, o se li ammazziamo e basta perché "fanno sporco" o abbisognano di manutenzione, ma e' secondo me abbastanza logico pensare che gli alberi migliorino la qualita' di vita per bellezza, aria pura, serenita', e perche' a volte nascondono le tante brutture architettoniche del nostro paese. Gli alberi riducono lo stress delle persone, ci fanno vivere meglio a contatto gli uni con gli altri.


La conclusione: ogni dollaro speso per albero porta a due dollari ed un quarto in ritorno alla comunita' -- negli USA almeno.

Ogni anno, negli USA almeno, gli alberi urbani generano valore per circa $18.3 miliardi di dollari grazie alla rimozione di inquinamento, risparmio energetico nei consumi da aria condizionata, sequestro di CO2.

Pare poco?

E noi non vogliamo fare la potatura o raccogliere le foglie di fronte a questo enorme regalo della natura? 



E' evidente che la popolazione mondiale cresce, e anzi gia' adesso piu' di meta' della popolazione mondiale vive in centri urbani, con problemi di smog, inquinamento, affollamento. Gli alberi portano a tanti miglioramenti: aiutano a ripulire aria e suolo, riducono i rischi di allagementi, portano a diminuzione locale della temperatura, abbattono il rumore, aiutano la pollinazione, portano attivita' ricreative, riducono lo stress.

Lo studio e' stato eseguito dal Prof. David Nowak del USDA (US Department of Agriculture) Forest Service e da Scott Maco del Davey Institute. I due hanno pure sviluppato una app chiamata i-Tree Tools (www.itreetools.org) che studia la relazione fra gli alberi e l'ambiente circostante a livello locale. Il software mette in relazione l'altezza, le dimensioni della chioma e l'area delle foglie di un albero o di una serie di alberi con tutti i "servizi" associati.

I due si sono concentrati in particolare su dieci citta', dieci "megacitta'" con una popolazione di piu' di 10 milioni di abitanti in tutto il loro hinterland: Pechino, Buenos Aires, Il Cairo,  Istanbul, Londra,  Los Angeles, Mexico City,  Mosca, Bombay, Tokyo.
 
L'hinterland de Il Cairo era il piu' piccolo di 1,200 chimometri quadrati, quello di Tokyo era invece a 19,000. I due hanno studiato la distribuzione arborea da Google Maps, selezionando 500 punti e classificandoli in base al grado di verde che ospitavano.
 
Lima, Peru' ha solo l'1% coperto di alberi.
New York ha il 34% invece.
 
Viene fuori che mettendo tutto insieme, il risparmio sull'aria condizionata, sui pericoli di inondazione, sulla cattura dell'acqua dopo le piogge, sul sequestro di anidride carbonica, sui risparmi sui costi sanitari da inquinamento, gli alberi portano a 967mila dollari di valore per ogni chilometro quadro di parco urbano.

I due hanno pure studiato tutte le possibilita' di aumentare la superficie di alberi piantati nel mondo, e viene fuori che il 18% delle aree metropolitane delle citta' analizzate potrebbe essere sfruttato per piantarci piu' alberi, come per esempio al lato dei marciapiedi, dentro superficie adibite a parcheggi a cielo aperto o aree abbandondate. E se si usano alberi che crescono in altezza, li si possono piantare un po dappertutto, con il tronco solo che occupa spazio e poi la chioma in alto.

Intanto negli USA dove crescono le spinte dei residenti verso aree sempre piu' verdi, si calcola che il verde urbano raddoppiera' nei prossimi decenni. Per ora negli USA ci sono 5.5 miliardi di alberi urbani che producono circa 18 miliardi di dollari in benefici alla comunita'.

E in Italia?

Io non credo che ci sia necessariamente bisogno di tutte queste cifre per capire che gli alberi portano solo benessere e benefici, e non capisco perche' li si continui ad abbattere.

Come sempre, gli alberi si piantano, non si abbattono.

Saturday, August 25, 2018

I pesci perdono il senso dell'olfatto a causa dei cambiamenti climatici






Increases in carbon dioxide in the ocean 
have the potential to affect all fish species, 
including those that many people rely on for food and livelihood
Cosima Porteus, 
University of Exeter


Un nuovo studio mostra un altra faccia dei cambiamenti climatici sulla vita animale.

Questa volta i malcapitati sono i pesci.

La temperatura degli oceani aumenta, i coralli sbiancano, gli oceani diventano sempre piu' acidi, si indebolisce sempre piu' la consistenza delle conchiglie e dei corpi dei crostacei. In qualche caso i pesci migrano verso zone diverse dal loro habitat naturale, e nel corso di generazioni, diventano piu' piccoli.

Ma sul senso dell'olfatto poco si era studiato.

Pare irrilevante, ma il senso dell'olfatto e' molto importante per i pesci. Permette loro di cercare e trovare cibo, riconoscere pericoli, scappare dai predatori, cercare zone sicure, zone per la riproduzione ed anche comunicare fra loro. La visibilita' sottacqua e' infatti limitata e i pesci usano l'olfatto come senso principale di sopravvivenza.

Modificare la sensibilita' olfattiva dei pesci significa compromettere notevolmente la loro sopravvivenza, la loro riproduzione.

E in ultima analisi, compromettere l'industria della pesca, e le abitudini alimentari di comunita' che  di pesce vivono.

Lo studio in questione, che documenta gli effetti negativi degli aumenti di CO2 nei pesci, e' stato condotto da Cosima Porteus, della University of Exeter ed e' stato pubblicato in Nature Climate Change.

Funziona cosi: l'acqua del mare si combina con la CO2 per produrre acido carbinoico H2CO3, che rende l'acqua piu' acida.

Dai tempi della rivoluzione industriale ad oggi, i livelli di CO2 in oceano sono aumentati del 43% ed entro la fine del 2100 sono destinati ad aumentare di altre due volte e mezza.

La meta' della CO2 prodotta dagli uomini sopratutto a causa dell'uso smisurato di petrolio ed affini, e' finito nell'oceano abbassandone il PH, e dunque rendendolo piu' acido.

Cosima Porteus ha avviato la sua collaborazione con il Centre of Marine Sciences a Faro, Portogallo e con il Centre for Environment, Fisheries and Aquaculture Science nel Regno Unito ed ha studiato i comportamenti delle spigole in mare con varie concentrazioni di CO2.

Piu' acidiche le condizioni dell'acqua del mare, piu' la CO2 presente, meno i pesci rispondevano a situazioni di pericolo, come la presenza di predatori. Il che significa che non riuscivano ad avvertirne la vicinanza.

La risposta del senso olfattivo e' stata studiata misurando l'attivita' del nervo olfattivo dopo essere stato stimolato da acqua con concentrazioni variabili di CO2 fino ad arrivare alle concentrazioni di CO2 previste per la fine del secolo.

L'intento era di capire le conseguenze della CO2 sull'abilita' dei pesci di trovare cibo ed altri pesci, analizzando anche i livelli di bile, ed altri acidi intestinali, e cercando di capire come i recettori olfattivi dei pesci rispondevano alle molecole che li stimolano.

Il risultato?

Il senso dell'olfatto era dimezzato in efficenza se le concentrazioni di CO2 erano quelle previste per il 2100.

I ricercatori hanno trovato che alte concentrazioni di CO2 portano anche a cambiamenti genetici nel senso dell'olfatto, ma non in positivo.

Potrebbe essere infatti che i pesci rispondono a questo deficit nell'olfatto cambiando la propria genetica, nel corso di varie generazioni, per ottimizzare l'adattamento al nuovo habitat.

Per esempio, il numero di recettori olfattivi puo' aumentare nel corso di qualche generazione per compensare il diminuito senso dell'olfatto da ciascuno, oppure possono essere promosse delle varianti genetiche piu' sensibili.

Invece, tutto il contrario. L'espressione genetica dei recettori olfattivi era diminuita. Invece che compensare il senso dell'olfatto nei pesci studiati e' diventato peggiore.

Nello studio hanno usato le sogliole per la loro importanza commerciale, ma Cosima Porteus dice che secondo lei i risultati si applicano anche ad altre specie di pesce - salmone, merluzzo - e pure ai crostacei.

Nessuno puo' dire di non sapere; quello che manca, come sempre, e' l'azione concreta.






Tuesday, August 21, 2018

Grecia: l'isola di Tilos sara' la prima del Mediterraneo 100% rinnovabile







La Grecia con tutti i suoi guai ci da una piccola grande lezione di civilta' ambientale. O forse e' proprio a causa dei suoi guai.
 
La piccola isola di Tilos, 14 ore di traghetto dalla madre-terra un piccolo scrigno di diversita' ambientale, sara' la prima isola del Mediterrraneo ad andare al 100% rinnovabile, grazie ad un sistema integrato di solare, vento e batterie.

Tilos fa parte dell'arcipelago del Dodecanese che e' tutta una riserva naturale, con una serie di sorgenti d'acqua sotterraenee che ha creato qui paludi con ottimi habitat per tante specie.  L'isola di Rodi e' la piu' nota di tutto l'arcipelago.

Ci sono qui orchidee rare, aquile protette e poche persone.

E poi c'e' stato il sindaco Tassos Aliferis il campione dell'ambiente che ha voluto fare di Tilos l'isola verde della Grecia. 

Siamo ora arrivati in mezzo a tutta questa natura ai test finali di un progetto che generera' 800 kilowatt di energia per tutta l'isola. Il perno cruciale e' rappresentato dalle batterie che assorbiranno l'energia in eccesso dalle turbine e dai pannelli solari per cederla poi alla rete nei momenti in cui ce ne sara' bisogno.

Tilos e' un isola piccola, con una popolazione invernale di 400 anime che in estate arrivano a 3000.

Uno dira': beh, e' un modello non replicabile, e' un isola piccola e un sacco di bla bla. Il punto e' sempre lo stesso: da qualche parte si deve pur partire, e finora nessuna altra isola di tutto il Mediterraneo l'ha fatto. Tilos si.

In questo momento l'energia di Tilos arriva da stazione alimentata da fonti fossili su una isola vicina, Kos, a 69 chilometri di distanza ed essenzialmente disabitata. Tilos e' una delle tre alimentata da un cavo sotterraneo che parte da Kos, e delle tre e' la piu' distante da Kos. Il cavo mostra evidenti segni di usura e di mancata manutenzione: spesso ci sono blackout di corrente, fino a 12 ore, rendendo la vita difficile a residenti, turisti, hotelier con cibi avariati, e scomodita' per tutti.

Da questo punto di vista, prettamente utilitaristico, le rinnovabili saranno un grande passo in avanti; ma non c'e' solo la soluzione di problemi pratici: il sindaco che ha promosso tutto questo era spinto da forti motivi "filosofici".

Tassos Aliferis era un ambientalista, di quelli che non se ne vergognano. Ha vietato la caccia sulla sua isola, promosso l'ecoturismo, ravvivato tradizioni morenti come fare il formaggio o coltivare erbe medicinali.
 
Lui non e' piu' in vita, ma e' stato lui a pensare e a volere il 100% rinnovabili per Tilos. il sindaco successivo ed attuale, Maria Kamma, ha continuato sulle sue orme nel desiderio di proteggere la biodiversita' dell'isola, con 150 specie di uccelli e 650 di piante.

Dal canto suo l'Unione Europea dice che si augura che Tilos diventi un modello per altre isole d'Europa con simili livelli di popolazione. Il progetto e' stato infatti finanziato dall'UE, sotto la guida di Tassos Aliferis, con circa 11 milioni di euro.

Il costo totale e' stato di 13.7 milioni di euro.

Con questi soldi oltre al sistema energetico e' stato creato un centro non-profit per la promozione turistica e culturale, con mappe, proposte di hiking, sentieri di mountain bike, vista di uccelli o viaggi in kayak. Si spera che tutte queste iniziative porteranno piu' visitatori e piu' business all'isola, anche in supporto delle loro politiche green.

Altri progetti in vista? Installazione di illuminazione pubblica direttamente dal sole, bici elettriche per i dipendenti comunali e stazioni di ricarica elettriche per le automobili.

E in Italia? Pantelleria? Lampedusa? L'Isola del Giglio? L'isola d'Elba?

Perche' no?

Il sindaco Kamma dice che se lo possono fare loro, lo possono fare tutti.

Parole sante.







Friday, August 17, 2018

Kubuqi, Mongolia: il miracolo della riforestazione nel deserto


















Volevo scrivere qualcosa sulla tragedia di Genova. Sulla manutenzione, sui controlli, sulle responsabilita', sull'Italia che crolla. Ma il dolore e' cosi tanto, e tutto cosi urlato che e' meglio che io taccia, mi tenga i miei pensieri per me e che invece scrivi di cose belle che ci facciano sentire piu' umani e speranzosi.

Ci ho messo un po per scovare questa storia ma eccola.

Siamo nel deserto Kubuqi, in un angolo di Mongolia che appartiene alla Cina e dove le dune si confondono con il fiume giallo Yangtze. Per anni qui c'e' stato "pascolo estremo", la terra era arida e la poverta' galoppante per tutti i 740mila residenti in questa zona di quasi 19mila chilometri quadrati.

Nel 1988 una ditta cinese, la Elion Resources Group decise di mettersi all'opera, con il benestare del governo cinese per combattere la desertificazione. I residenti con la loro conoscenza capillare del territorio sono stati coinvolti. Tutti assieme sono partiti.

Hanno studiato e poi piantato, piantato, piantato.

Dopo trenta anni, un terzo del deserto e' tornato a fiorire.

Il deserto del Kubuqi era il settimo piu' grande della Cina. Oggi e' pieno di alberi. La scelta e' stata di piantare alberi particolari per trattenere la sabbia, e prevenire alle dune di ingoiare altra terra.

E con gli alberi e' tornata la vita: i paesi sono tornati piu' vitali, i turisti sono tornati per visitare il verde e le dune.  Ci sono pure dei piccoli allevamenti di bestiame. Il tutto e' orchestrato per essere sostenibile.


Le Nazioni Unite  stimano che il Kubuqi Ecological Restoration Project portera' a rivitalizzazione ambientale per $1.8 miliardi in 50 anni.

Cosa esattamente questi numeri implichino non e' poi cosi importante. Quello che importa e' che e' successo grazie agli alberi.

A Kubuqi sorgono anche campi solari, con 650,000 pannelli, alcuni fissi, altri che ruotano con il sole e che danno all'area 1 Gigawatt di energia.

Il direttore del programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite, Erik Solheim dice che in questo caso la desertificazione e' stata vista come una opportunita' per crescere, per intervenire e portare miglior qualita' di vita ai residenti.

 Il tutto grazie a degli alberi.

Gli alberi si piantano, non si abbattono.

Anche in Italia - abbiamo solo da prendere esempio.