Instead of railing against climate policies, or paying them lip-service
while quietly defying them with investment decisions,
the oil companies will serve their investors and society better
if they accept the limits they face, and
embrace a future of long-term decline.
Chi l'avrebbe mai detto. Un editoriale del
Financial Times, pubblicazione da sempre pro-petrolio, che pubblica un editoriale in cui si consiglia ai petrolieri di accettare che il futuro per loro sara' fatto di un declino lento ed inesorabile.
L'editoriale pubblicato ieri 28 Maggio
2016 dice che invece di combattere contro le politiche fatte dai vari paesi per contrastare i cambiamenti climatici, o facendo solo piccoli gesti pro-forma mentre si continua ad investire nelle fossili, i petrolieri farebbero un servizio migliore a se stessi e alla societa' se accettassero che il loro futuro e' fatto un declino lungo e inesorabile.
Il Financial Times punta il dito contro Exxon and Chevron per avere a lungo negato gli effetti dei cambiamenti climatici.
Il giorno 25 Maggio 2016 infatti, i vertici della Exxon hanno detto no
a tutte le richieste di trasparenza sui cambiamenti climatici avanzate dagli investitori eccetto che ad una. La stessa cosa e' capitata con all'incontro annuale con gli investitori BP, qualche mese fa, in cui i vertici dell'azienda hanno similmente detto no a discussioni, a maggiori studi, a maggiori dichiarazioni e trasparenza sui legami petrolio-clima-business. Idem per Shell e Statoil di Norvegia.
Tutte al bavaglio.
Il Financial Times dice che questi meeting fra investitori, vertici e dirigenti e' quasi una sorta di sessione di terapia per i petrolieri, in cui si cercano di capire le conseguenze degli accordi di Parigi e della necessita' di prendere decisioni per contenere l'aumento di temperatura a meno di 2 gradi centigradi.
Ovviamente la risposta a questi pensieri e' che il petrolio dovrebbe restare sottoterra, ma loro non ci riescono proprio a capire, a fare questo legame logico.
Secondo il Financial Times
The international objective of holding
the increase in global temperatures to “well below” 2C, agreed at the
Paris climate talks last year, implies the obsolescence of all fossil
fuel production within the next few decades. The oil companies have not
yet reconciled themselves to quite what this means.
Cioe' Parigi significa che la produzione di petrolio diventera' obsoleta.
Non e' parola di Greenpeace, ma del Financial Times, una delle principali pubblicazioni finanziarie del Regno Unito.
Il Financial Times dice che se i governi veramente seguiranno cio' che si e' deciso a Parigi i petrolieri dovranno trovare un qualche modo di fermare le emissioni di gas serra, mettersi a fare rinnovabili o chiudere battenti. Quartium non datur.
Dicono che in tutte queste riunioni si litiga e si discute, che gli Europei sono gia' piu' pronti ad ammettere i pericoli dei cambiamenti climatici rispetto ai petrolieri d'America. Che in generale si parla di piu' di tenere i costi bassi e di sicurezza nazionale, piuttosto che di ridurre le emissioni. Non ne vogliono sentire!
Ma mentre chi comanda e' restio all'idea di esplorare in dettaglio cosa succederebbe alle varie Exxon, Shell, BP, Chevron, al loro business e alla loro profitto con il vincolo dei due gradi, la risposta la da la rivista
Nature.
Secondo loro per tenere fede a Parigi e all'aumento dei due gradi, un terzo delle riserve petrolifere e meta' del gas del mondo dovrebbe restare sottoterra.
Il messaggio che non vogliono sentire e' che la crescita sara' scarsa e ridotta, e che nel lungo termine la produzione dinimuira' invece che aumentare.
Il Financial Times conclude con:
Invece di schiamazzare contro le politiche di contenimento dei cambiamenti climatici, o far finta di agire mentre segretamente si cerca di raggirarle quando si fanno gli investimenti, i petrolieri sarebbero di maggior servizio ai loro investitori e alla societa' se invece accettassero i limiti che hanno davanti e si preparassero ad un futuro a lungo termine fatto di inesorabile declino.
Amen.