Siamo a Bondi beach vicino a Sydney, Austalia dove un gruppo nutrito di surfisti ha deciso di ribellarsi contro le trivelle in mare.
Hanno organizzato un “paddle out”, cioe' tanti assieme diretti verso il mare aperto per puntare l'attenzione sul Great Australian Bight, casa di balene, ricca di biodiversita' e dal mare blu. Perche' l'area e' a rischio?
Perche la ditta nazionale di stato norvegese, ex Statoil, ora Equinor che fa piu' chic, vuole e persiste nel suo volere, trivellare questo paradiso d'Australia.
Ci sono amanti del surf, amatoriali, ma anche noti professionisti. Il surf e' uno degli sport piu' popolari del paese, e tutti vogliono tenere il mare e la costa il piu' possibile incontaminate. La gente e' arrabbiata e scioccata che si sia arrivati a voler trivellare fin qui.
Io sono invece scioccata che quei sanatarelli del norvegesi che fanno la predica razzolano poi cosi male in casa altrui.
Della storia delle trivelle nel Great Australian Bight si parla da tempo, e ne abbiamo raccontato anche qui. Ma in questi giorni l'urgenza e' forte visto che le elezioni si terranno qui il giorno 18 Maggio 2019. In molti vogliono che ci sia maggiore attenzione a politiche green e non solo in nome, ma di fatto, e le trivelle nel santuario delle balene e' forse uno dei contenziosi maggiori. Ci sono poi anche proteste sul fatto che il governo attuale non e' stato sufficentemente propositivo e attuattivo nel dinimuire le emissioni di CO2, o che ancora adesso si parli di nuovi progetti per centrali a carbone.
Non e' il primo paddle out della stagione, gia' ne sono stati organizzati altri a Bells Beach, per esempio, un altro paradiso dei surfisti a
Melbourne, oppure sulla Gold Coast e in Tasmania. Ogni volta ci sono state sempre piu' persone, migliaia e migliaia fra cui per esempio, il campione mondiale di surf Layne Beachley.
Il Great Australian Bight e' una specie di Galápagos dove vanno a riprodursi balene e i pesci; la Equinor/Statoil invece dice che ci sono qui enormi riserve di gas naturale e vogliono qui trivellare entro la fine del 2019. Dicono che sara' tutto safe. Che altro vogliono o possono dire?
Manca invece l'approvazione finale del governo australiano. Il governo e' pero' notoriamente vicino agli speculatori del fossili - tutot il mondo e' paese no? - e qui si continua a propinare il mito dei posto di lavoro, della sicurezza, dell'energia.
Ma la gente non ci crede e l'incubo di perdite catastrofiche di petrolio non ne vale la candela, nell'immaginario collettivo. E infatti la stessa Equinor/Statoil ha dovuto ammettere che in caso di perdite ci sarebbero stati enormi danni lungo migliaia di chilometri della costa meridionale del paese.
I mari del Great Australian Bight sono profondi, burrascosi, remoti, e portano con se molti problemi. Non ci sono adeguate strutture di supporto ne a terra ne a mare, ed e' difficile trivellare qui in completa sicurezza, ammesso che mai lo sia!. Si teme che le condizioni possano portare a incidenti rilevanti, peggio che in Louisiana nel 2010.
Addirittura si punta il dito al fatto che queste operazioni mai e poi mai sarebbero ammesse in Norvegia, la sede legale della Equinor/Statoil. E questo lo dice chiaramente Soliman Hunter, dell'Aberdeen University
Center for Energy Law che dice chiaramente:
“Equinor
is proposing a lesser standard for the Bight than they would propose in
the Norwegian Sea,”
Anche in Norvegia ci sono delle aree sensibili, entro i quali la Equinor non puo' trivellare, come per esempio, al largo delle isole Lofoten, dove finalmente dopo tanti anni di tira e molla, il governo di Oslo ha detto no, nonostante le stime di enormi riserve petrolifere.
Gli australiani non mollano, e anzi le proteste proseguiranno anche ad Oslo; un gruppo di surfisti infatti volera' fino alla capitale norvegese per manifestare la loro opposizione. Intanto il Great Australian Bight e' stato proposto come sito UNESCO, e le varie celebrita' del surf dicono di no, fra cui Mick Fanning e Steph Gilmore.
Vediamo chi vince, anche se i norvegesi hanno gia' perso in partenza. Una nazione arricchitasi con il petrolio che fa la morale sulla pelle delle balene altrui.