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Tuesday, October 17, 2017

Il cacao e la deforestazione dell'Africa








Ogni tanto mi imbatto in storie che non sono propriamente di petrolio, ma di cui non si parla tanto. E siccome mi sembrano storie importanti, nella loro tragicita’, mi pare utile raccontarle.

Questa del cacao in Africa, e la storia dietro le nostre tavolette di cioccolata occidentale, e’ una di quelle storie.

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“These companies have to understand that they can’t just pay lip service to conservation. They’re going to have to change the way they do business.” 

Chocolate is killing west African forests on a massive scale.


Glenn Horowitz, Mighty Earth



Come sempre, quando arrivano le multinazionali, la massa di denaro coinvolto, gli interessi di persone lontane, e il senso di onnipotenza portano a distruzione a larga scala.

La cioccolata.

Chi l’avrebbe mai detto che in nome delle piantagioni di cacao intere foreste tropicali sono state sacrificate in Africa occidentale?

La deforestazione, illegale, va avanti da tanto tempo, anche nei parchi nazionali, lasciando dietro paesaggi irriconoscibili.

Un po come per l’olio di palma in Indonesia.

La Costa d’Avorio e il Ghana producono il 60% del cacao mondiale, con 2.6 milioni di tonnellate l’anno.

Il dieci percento delle foreste del Ghana e’ stato sostituito nel corso degli anni da monocoltura di cacao. La Costa d’Avorio un tempo ricca di biodiversita’ perde il suo complesso patrimonio arboreo per lo stesso motivo. Delle sue ventitre aree protette, sette sono scomparse e ingoiate da piantagioni di cacao.

Il risultato? Alcune specie di chimapanzee hanno perso il loro unico habitat e ora sono specie a rischio. Gli elefanti sono quasi del tutto scomparsi in Costa d’Avorio. Da un punto di vista umano pure la siutazione non e' migliore, la foresta scompare, e gli animali pure, ma c'e' ancora poverta' estrema e pure lavoro minorile nelle piantagioni.

Chi compra questo cacao?

Mars, Nestlé, Hershey, Godiva che acquistano cacao senza necessariamente accertarsi della proveneienza per essere sicuri che cio' che acquistano sia stato prodotto in modo etico.

E come per il petrolio in Nigeria, l’industria della cioccolata si fa forte del fatto che in questi paesi ci sono governi corrotti a cui di parchi e aree protette non importa granche’, e tantomeno delle condizioni di chi in queste piantagioni ci lavora. E poi ci sono le multinazionali che invece devono solo pagare cacao e manodopera il meno possibile, costi quel che costi.

Lo stipendio medio dei lavoratori delle piantagioni di cacao e’ di 80 centesimi al giorno.

Glenn Horowitz, e’ il direttore di Mighty Earth una non-profit internazionale che si occupa della conservazione di paesaggi a rischio. Negli scorsi mesi ha presentato un rapporto su come funziona l’industria del cioccolato in Africa occidentale.

Si parte dai pisteurs, degli intermediari di primo livello che comprano i chichi di cacao dal produttore e li portano in villaggi piu’ grandi. Qui ci sono delle cooperative che vagliano il prodotto e lo mandano a compagnie agricole locali di media grandezza che infine vendono il cacao alle multinazionali straniere.

Ci sono dunque almeno cinque passaggi e man mano che si avanti, si perde il contatto con il produttore, le sue condizioni di vita, e quello dell’ambiente dove il cacao e’ stato prodotto. Se sanno o non sanno che il cacao sia stato prodotto in modo illegale e da terre in linea di principio protette e’ un mistero, e ovviamente data la complessa piramide che ci sta sotto, Mars e compari possono sempre dire di non sapere, che e’ tutto “outsourced” e che sono angeli all’oscuro di tutto.

Ma come… tutte queste ditte che produnono cioccolata non hanno tutte pubblicita’ e iniziative sulla cioccolata sostenibile? Puo’ darsi ma le parole non sempre coincidono con I fatti. La deforestazione resta, la paga e’ bassa.

Horowitz dice che lui spera che il suo rapporto sia uno sprono all’industria a fare meglio, se non altro per vergogna, e ai consumatori di esigere prodotti che non arrivano dalla distruzione della terra o dallo sfruttamento della manodopera locale.

Nestle’ e Godiva sono colossi. Hanno il potere, e la responsabilita’, di togliersi I paraocchi, andare oltre quei cinque gradi di separazione fra loro e i lavoratori e esigere che il loro cacao venga da piantagioni dove il lavoro e’ eticamente retribuito e che rispetti la foresta.

Impossibile? No, perche’ alcune ditte minori promuovono cioccolata “etica” e anzi distribuiscono parte dei ricavati con i loro lavoratori. E big chocolate cosa ha da dire?

Amy Truelson, di Mars dice che e’ d’accordo sul preservare cio’ che resta delle foreste di Costa D’Avorio e del Ghana, e che occorre maggior trasparenza e rispetto delle comunita’ indigene.

In questo momento Mars ottiene il 50% del suo cacao da fonti certificate con l’obiettivo di arrivare al 100% entro il 2020.

NestlĂ©, Hershey’s e Godiva non hanno avuto niente da dire.

Entra in scena Carlo d’Inghilterra che in realta’ e’ da tanto tempo un promotore della cioccolata e del cacao sostenibile, specie considerate il legame fra la deforestazione e i cambiamenti climatici. Grazie  a lui ben dodici produttori di cioccolata modiale si sono impegnati a debellare la pratica della deforestazione.  L'idea di base e' che le ditte internazionali che lavorano con il  cacao debbano anche proporre progetti per maggiore sorveglianza delle foreste e incentivare colture piu' sostenibili. 

Fra le ditte che si sono impegnate su questo fronte, Mars, Nestle’ e Ferrero.

Oltre ai dodici produttori di cioccolata anche i governi di Costa D'Avorio, Ghana, Francia, Germania, Olanda, Norvegia e UK si sono impegnate ad un maggior ruolo nel fermare la deforestazione da cacao.

E’ successo con l’olio di palma, puo’ succedere anche con il cacao. Come sempre occorre solo voler essere informati e cercare di fare quel poco che possiamo per un pianeta migliore, dal petrolio alla cioccolata, ma farlo consistentemente e con amore.

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