.

.

Sunday, September 11, 2016

In venti anni perso il 30% della foresta amazzonica; il 10% delle aree naturalistiche nel mondo intero









Without immediate and serious reforms to international climate policy, there will be no way to reverse the threat of total loss and the devastating effects it will have on climate change and human civilization.

Globally important wilderness areas – despite being strongholds for endangered biodiversity, for buffering and regulating local climates, and for supporting many of the world’s most politically and economically marginalized communities – are completely ignored in environmental policy

Without any policies to protect these areas, they are falling victim to widespread development. 

We probably have one to two decades to turn this around.
 


Dal 1996 ad oggi abbiamo perso circa il 10% delle aree naturali selvagge nel mondo intero.

Primo in classifica l'Amazzonia: ne abbiamo perso il 30%.

Occorre fermarsi a pensare a cosa questo significhi.  Quasi un terzo dell'Amazzonia e' scomparsa in venti anni -- a causa nostra. Un terzo. E' qualcosa di strabiliante.

In Africa centrale invece e' andato perso il 14% delle aree allo stato selvaggio. 

Fanno un totale di 3.3 milioni di chilometri quadrati svaniti sotto cemento, urbanizzati, deforestati, o covertiti all'agricoltura intensiva come per le piantagioni per la produzione di olio di palma.  Altre cause sono le trivelle, miniere, strade, incendi.

E come la definiamo la natura selvaggia?  Sono queste zone mai toccate dall'uomo da un punto di vista biologico o ecologico: zone senza il disturbo dell'uomo a grande scala -- foreste prima di tutto.

In totale in 20 anni abbiamo perso un area il doppio dell'Alaska o la meta' dell'Amazzonia intera se le mettiamo tutte assieme.

A condurre questo studio e' James Watson della University of Queensland in Australia e della Wildlife Conservation Society a New York che nel suo articolo su Current Biology usa la parola "catastrofico". Ovviamente tutto questo e' triste e sbaolrditivo perche' se andiamo avanti cosi, secondo lui, fra 50 anni non rimarra' quasi niente.

Dice che abbiamo al massimo 2 decenni per cercare di invertire la rotta. 

Dice che queste aree incontaminate sono gli ultimi baluardi per la protezione di biodiversita', sono utili ad aiutare ad assorbire CO2 e a rallentare i cambiamenti climatici, e sono la casa di varie comunita' indigene con tutto il loro patrimonio di conoscenza e di tradizioni, sono in realta' completamente ignorate dalla politica a livello mondiale.

Cioe' - in una parola - non gliene importa niente a nessuno.  E quindi vai con lo "sviluppo", cioe' cemento, mattoni, trivelle, miniere e olio di palma.

Un ecosistema e' piu' grande di tutte le sue singoli compomenti. L'Amazzonia non e' soltanto una gigatesca foresta. E' il polmone del mondo, e la sua presenza -- la sua sopravvivenza -- riguarda noi tutti perche' gioca un ruolo importante nei delicati equilibri climatici planetari. Che ci piaccia o no, siamo tutti interconnessi.

Ogni ettaro che scompare e' una sconfitta per tutti: solo l'un per cento della vita vegetale dell'Amazzonia e' stata studiata. L' un percento!  E noi la stiamo distruggendo senza neanche sapere le ricchezze che offre.

Come siamo arrivati fin qui? Perche' si e' sempre pensato che le foreste africane o sudamericane fossero cosi lontane e difficili da raggiungere che non avessero bisogno di protezione.

Cosa c'e' da fare?

Secondo Watson occorre intervenire *adesso* laddove si puo' ancora con corridoi di collegamento fra aree protette, e compensare le nazioni che si impegnano a proteggere i vari ecosistemi, come utili al pianeta intero per generare acqua e per essere polmoni verdi per tutti.

In questo momento solo il 23% della parte terrestre del pianeta e' selvaggio. Di queste aree, l'80% e' in aree contingue sufficentemente estese da essere considerate "globalmente significanti", sebbene quasi tutte abbiano perso superficie. Nel 1990 erano 350, oggi ne sono 323.

E sebbene siano state create riserve e zone protette nuove, questo non e' stato sufficente a fermare la distruzione: 4 milioni di chilometri quadrati protetti,  cinque persi.

Ovviamente questo e' negativo per tanti motivi -- scomparsa di specie animali e vegetali, aumento delle conseguenze dei cambiamenti climatici.

E poi c'e' un altro tasto dolente di cui nessuno vuol parlare: siamo troppi su questo pianeta. Secondo Peter Raven del National Geographic, ogni giorno che passa si questa terra ci sono 250,000 persone in piu'. Siamo oggi a 7.4 miliardi di esseri umani, ed entro il 2050 si stima che potremmo essere 10 miliardi.

Gia' adesso consumiamo risorse naturali una volta e mezzo cio' che effettivamente abbiamo. Come dire, ci vorrebbe un pianeta e mezzo per soddisfare i nostri consumi, energetici, di cibo, di risorse in generale, adesso. 

Il pianeta non ce la puo' fare -- non cosi tanti, non cosi in fretta. 

Ci si auspica l'intervento dell'ONU per evitare di perdere tutto cio' che di piu' prezioso la natura offre: non possiamo ripristinare la natura una volta che e' scomparsa. Quella ha i suoi ritmi e i suoi tempi, e un ecosistema intero non si puo' ne comprare ne ricreare artificialmente. Possiamo solo fare del nostro meglio per salvare quello che resta.

Forse quello che ci vorrebbe e' una consapevolezza maggiore da parte di tutti,  un consumo responsabile da parte degli occidentali, giustizia sociale, fine di ogni tipo di sfruttamento, e la coscienza di essere parte di un solo pianeta, di una sola famiglia.

Non e' successo ancora in 2000 anni di storia moderna, che si voglia un po piu bene a noi e a cio che ci circonda, ma forse il pianeta che collassa potrebbe essere un inizio.

Come sempre, parte tutto da ciascuno di noi.


No comments: