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Monday, October 30, 2017

Angola: due FPSO della Total rilasciano scie di quasi 20 chilometri













I lettori dell'Abruzzo sanno bene cosa sia una FPSO, perche' su questo blog ne abbiamo parlato tante volte.

E' una Floating Processing and Storage Offshore unit, una nave dove arriva petrolio di scarsa quantita' pompato dal mare. Sulla FPSO il petrolio viene parzialmente trattato e stoccato per poi essere spedito altrove. Insomma, una piccola raffineria a mare, con tanto di unita' desolforante e con inceneritore e fiaccola perenne.

I lettori dell'Abruzzo sanno cosa sia perche' ce ne volevano appioppare una davanti alla costa dei trabocchi fra il 2008 e il 2016 come parte di Ombrina Mare. Il pozzo sarebbe stato a 5.5 km da riva, e la FPSO a nove.

Tante sono state le opere di sensibilizzazione e di disseminazione di informazioni. Ogni volta pero' le ditte proponenti per l'Abruzzo, la Mediterranean Oil and Gas prima e la Rockhopper Exploration dopo ci hanno ripetuto ad infinitum la pappardella che era tutto sicuro, che non sarebbe mai successo niente, che le FPSO non hanno mai perdite e che tutto e' biodegradabile, pulito, e dagli effetti nulli e trascurabili.

Entra in scena proprio in questi giorni di addio alla FPSO d'Abruzzo, un'altra FPSO, la Girassol dell'Angola, di proprieta' della francese Total.

Girassol sta per girasole in portoghese e da satellite si vedono immagini di una scia di petrolio dalla FPSO Girassol che si protrae per circa 19 chilometri.

Diciannove chilometri di petrolio in mare!
 
E poi ce n'e' un'altra di FPSO chiamata Pazflor che invece di petrolio ne rilascia una scia di circa 17 chilometri.

La maggior parte del petrolio dell'Angola arriva dal mare, dal blocco 17, che e' stato soprannominato "Blocco D'oro" e che viene sfruttato da circa 20 anni. Il petrolio e' scadente, ed e' appunto "pesante" e "amaro" cioe' dalle molecole C-H lunghe e con impurita' sulfuree che le FPSO vanno ad eliminare nei loro trattamenti iniiziali.

Ci sono qui concessioni (e FPSO) Girassol, Dalia, Pazflor e CLOV (che sta per Cravo, Lirio, Orquidea and Violeta, tutti campi distinti ma uniti geograficamente).

La concessione Girassol e' di completa proprieta' della Total ed e' in azione dal 1996. 

La concessione Pazflor contiene quattro giacimenti distinti, Perpetua, Hortensia Zinia e Acacia. L'operatore e' la Total, proprietaria al 40% e poi altri partner sono la Statoil di Norvegia al 23%, la ExxonMobil al 20% e la BP al 17%.

Anche la concessione Dalia e' di proprieta' congiunta Total-Statoil-ExxonMobil-BP e nelle stesse percentuali della Pazflor. L'installazione della FPSO Dalia nel 2006 ha coinciso con l'entrata dell'Angola nel gruppo dei paesi produttori di petrolio, l'OPEC.

Infine, CLOV raggruppa altre quattro campi tutti collegati alla FPSO dal medesimo nome.

Ebbene, e' da Maggio 2017 che si continuano a vedere scie di vario genere sia dalla FPSO Girassol che dalla Pazflor. Dalla Total, dal governo di Angola non si muove mosca, e cosi si pensa che siano delle perdite croniche, o dalle FPSO Girassol e Pazflor oppure dai 39 pozzi e dai vari chilometri di oleodotti che li collegano fra loro, incluso alcuni campi minori chiamati Rosa e Jasmin. 
Nomi delicati di donna, venti chilometri di petrolio, nessuna altra informazione.

Ma Girassol, Pazflor, Dalia e CLOV non sono sole. In tutto l'Angola ci sono una dozzina o piu' FPSO.

A dicembre 2016 e' entrata in produzione la FPSO Armada Olombendo dell'ENI che ha iniziato a trivellare il blocco 15 dell'Angola a meta' del 2017.

Queste tutte le altre:




Armada Cabaca FPSO
ENI

Chissonga FPSO
Maresk

CLOV FPSO
Total

Dalia FPSO
Total

Gimboa FPSO
Saipem

Girassol FPSO
Total 

Greater Plutonio FPSO
BP 

Kaombo Twin FPSOs
Total

Kizomba A FPSO
Exxon

Kizomba B FPSO
Exxon

Kuito FPSO
Chevron

Mondo FPSO
Exxon 

N'Goma FPSO
ENI 

Pazflor FPSO
Total

PSVM FPSO
BP 

Sanha LPG FPSO
Chevron 

Saxi-Batuque FPSO
Exxon 

Xikomba FPSO
Exxon

Ho il sentore che l'Angola sara' la prossima Nigeria.








Sunday, October 29, 2017

Il Peru che vorrebbe trivellare le terre degli indigeni non contattati dall'uomo




Concessioni della ditta nazionale petrolifera del Peru, Perupetro
con le concessioni 135 e 137 sulla riserva Yavari-Tapiche
dove vivono tribu' non contattate dall'uomo.

In Peru vivono 15 tribu non contattate.

Per saperne di piu' Survival International 

 Il ministro dell'energia del Peru,
Lucia Cayetana Aliovin Gazzani
















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Il 72% della foresta amazzonica del Peru' e' stato aperto alle trivelle,
sulla carta o in pratica

Il direttore di Perupetro dice che le tribu non contattate sono come il mostro di Loch Ness.

La loro esistenza secondo lui e' una idea assurda
perche' non c'e' evidenza che esistano.


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Quando pensiamo alle tribu non contattate dall'uomo, pensiamo quasi sempre al Brasile.

Ed e' cosi. In Amazzonia vivono (secondo le stime) piu' persone mai toccate dalla nostra civilta' che altrove. Seconda in classifica e' il Peru.  Dei suoi indigeni invece non si parla quasi mai.

Questa e' invece una storia che li riguarda.

Per la maggior parte gli indigeni non contattati, sia in Brasile che in Peru', vivono in aree protette, parchi o riserve. Solo che queste aree protette, parchi e riserve sono tali finche' "inutili" allo sfruttamento da parte del mondo "civilizzato". E anzi, smettono di essere aree protette quando si scoprono risorse che possono fare gola a noialtri.

E' questo quello che succede in Peru'.

Qui, in linea di principio la costituzione dice che le tribu' indigene devono essere lasciate in santa pace, che il loro diritto all'autodeterminazione e' sacrosanto. E questo perche' sono popolazioni fragili, che non hanno difese immunitarie adeguate, e il contatto con noi sarebbe devastante. Lasciamoli vivere secondo le loro tradizioni e nel loro mondo plurimillenario.

Tutto bene finche' non entrano in scena petrolieri, minatori, deforestatori, narcotrafficanti, costruttori di strade. In questo caso, tutto viene perso o dimenticato.

In questo momento l'area al centro di tanta controveria e' una zona di piu di un milione di ettari dove nel 2003 venne proposta una riserva da lasciare intoccata per lasciarla alla comunita' Yavari-Tapiche in Peru'. Sono appunto tribu' non contattate dagli occidentali.

Nel 2006 arriva proprio questo, una riserva chiamata Sierra del Divisor che avrebbe occupato 700,000 ettari di terreno.

Ma la riserva arriva a parole ed e' incompleta, almeno per quanto riguarda gli indigeni. E infatti, voila'.

Solo un anno dopo, arrivano i petrolieri a trasformare questa supposta riserva in un insieme di concessioni petrolifere. Si pensa infatti che ci possa essere greggio sotto la terra dei Yavari-Tapiche. Addirittura l'81% della proposta riserva sarebbe stata aperta alle trivelle.

Nel 2015 l'area viene trasformata in un parco nazionale con tutte le sue concessioni -- ben 15.

Sierra del Divisor diventa cosi' il terzo piu' grande parco nazionale del Peru con una gamma straordinaria di flora, fauna, sistemi fluviali. Sorge qui anche l'unica catena montuosa della zona. 

Ma di tribu Yavari-Tapiche e del loro diritto costituzionale a essere lasciati in pace non si parla.

A gestire le trivelle la Perupetro, la ditta nazionale petrolifera peruviana che si occupa di promuovere le estrazioni petrolifere, di gestire le concessioni e di fare partnership con eventuali ditte straniere.

Nel 2017 arrivano altre 12 concessioni nel parco degli Yavari-Tapiche.

E loro? Che ne sara' di questa tribu' non contattata dall'uomo? C'e' posto per loro in questo parco?

Pare di no.

I Yavari-Tapiche sono indifesi, non sanno tutto quello che si agita e non hanno neanche il concetto di riserva o di parco o di trivelle. Cosi, la federazione peruviana degli indigeni chiamata AIDESEP ha deciso di occuparsi del caso, a "loro insaputa".

Hanno chiesto che governo implementi la riserva come dagli accordi del 2006 con lo scopo esplicito di proteggere gli indigeni con meccanismi che vadano in azione immediatamente. Sono anche arrivate cause in tribunale con la richiesta di modificare i lotti petroliferi e di vietare le trivelle nelle aree dove vivono i Yavari-Tapiche.

Si chiede che le concessioni piu' pericolose, i lotti 135 e 137, siano annullate, perche' mettono gli Yavari-Tapiche a rischio di estinzione, occupano le terre coltivate da un altra tribu, i Matses, e vanno contro la costituzione del paese.  Trivellare qui significherebbe portare elicotteri, detonare esplosioni sotterranee, l'arrivo dell'uomo bianco, e far passare camion e macchinari nella foresta. Potrebbero esserci pure tensioni e violenza.

Ma finora, nada.

Intanto pero' la ditta che avrebbe trivellato entrambi i lotti, il 135 e il 137, la ditta canadese Pacific Stratus Energy ha abbandonato i suoi piani, anche grazie alla vergogna a livello mediatico e internazionale.  Il che e' una piccola grande vittoria in se.

Ma Perupetro non demorde e pensa di assegnare le concessioni ad altri.

I canadesi hanno detto questo, in merito alla loro rinuncia:  

As you may know, the company has a new management and post evaluations of current opportunities, it has made the decision to relinquish its exploration rights in Block 135 and return the block to Perupetro effective immediately. To date legal processes are underway. We wish to reiterate the company’s commitment to conduct its operations under the highest sustainability and human rights guidelines, avoiding damages to cultures and their surroundings; a value promise we feel remains intact.

Vedremo come andra' a finire. Intanto noi continuiamo con lo scandalo, se non altro per farli vergognare.

Per chi volesse far qualcosa di buono, si possono scrivere lettere al governo del Peru con la richiesta di lasciare vivere gli Yavari-Tapiche nelle loro terra, senza trivelle, e senza altre interferenze con la nostra civilta'. 
 
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Qui la lista delle concessioni peruviane che mettono a rischio le popolazioni indigene dell'Amazzonia, contattate o no. Alcune sono state sconfitte, altre hanno visto la rinuncia spontanea dei trivellatori.

1. Il lotto 132 che comprende territori della tribu Murunahua nel sud-est del Peru. Nel 2008 e' stata ridisegnata per escludere gli indigeni e sotto pressione da organizzazioni ambientaliste.

2. Il lotto 133 che comprende la riserva Madre de Dios e dove vivono anche qui tribu' non contattate. Anche questo lotto venne ridisegnato nel 2008 per escludere gli indigeni e sotto pressione da organizzazioni ambientaliste.

3. Il lotto 139 che comprende quasi tutta la riserva Isconahua dove vivono tribu non contattate. Nel  2008 doveva essere messa all'asta ma non lo e' stata. Perupetro dice che l'asta non c'e' mai stata anche grazie alle organizzazioni ambientaliste che hanno protestato.

4. Il lotto 110 che comprendeva quasi tutta la riserva di Murunahua. Era della Petrobras del Brasile che non l'ha mai sfruttata. Ora e' stata eliminata dalla lista delle concessioni della Petrobras.

5. Il lotto 113 che comprendeva quasi tutta la riserva Madre de Dios. Nel 2006, Sapet, una sussidiaria della China National Petroleum Company rinnucio' a trivellarla.

6. Il lotto 57 che comprendeva quasi tutto il territorio Kugapakori-Nahua-Nanti dove vivono tribu' non contattate attorno all'area di Cusco. Nel 2003 venne ridisegnata per escludere gli indigeni.

7. Il lotto 39 che copriva piu' del 50% della riserva Napo-Tigre dove vivono tribu non contattate nella parte a nord del Peru al confine con l'Ecuador. Venne riminesionata nel 2013-2014. E' tuttora di proprieta' dell'anglo-francese Perenco ed e' ancora una concessione attiva.

8. Il lotto 117 che comprende parte della riserva Napo-Tigre. Nel 2013 il contratto con Petrobras del Brasile e' scaduto e il lotto non e' stato mai sviluppato (finora almeno).

9 Il lotto 121 che comprende parte della riserva Napo-Tigre. Nel 2013 il contratto con Perenco, ditta anglo-francese e' scaduto e il lotto non e' stato mai sviluppato (finora almeno).

10 Il lotto 142 che comprende parte della riserva Yavari-Mirim dove vivono tribu non contattate. Nel 2009 il contratto con l'americana Occidental e' scaduto ed il lotto non e' stato mai sviluppato.


Saturday, October 28, 2017

Archiviata la malsana idea di costruire un impianto geotermico nella solfatara di Pozzuoli












per la scienza o per le trivelle? 



Uno potrebbe dire: ma come ci hanno solo pensato.

Ebbene si, ci hanno pensato, e hanno pure portato avanti le carte per un po di tempo nell'illusione di trivellare il Vesuvio. Il giorno 26 Ottobre pero' il ministero dell'ambiente gli ha detto (per una volta saggiamente) che la proposta e' stata archiviata.

Si trattava di un impianto geotermico "pilota" nell'area di permesso Scarfoglio, a Pozzuoli, Napoli come proposto dalla societa' Geoelectric ed elaborato dall'ingegner Mario Massaro per conto di una ditta chiamata "ENvironment ENergy ENgineering" con sede a Roma.

Notare che questi studi specializzati in trivelle e tuttappostismi hanno sempre nel loro nome le parole "environment", "ambiente", "green" o "sostenibile". Cosi' per fare meno paura e far passare l'idea che pure le trivelle nelle solfatare del Vesuvio sono tuttapposto!

Qui a Pozzuoli si voleva realizzare un impianto di produzione di energia elettrica alimentato dal "liquido geotermico" estratto da 3 pozzi di produzione e re-iniettato nel sottosuolo in altri 2 pozzi. Oltre a questi bei buchi nel cuore di una zona vulcanica, sismica e instabile, si volevano installare condotte per il convogliamento del fluido geotermico e dell'elettrodotto interrato di connessione alla rete elettrica ENEL.

Cioe' volevano fare un po di alchimia geologica e mettere tutto a soqquadro.

Secondo la Geoelectric, Scarfoglio avrebbe dovuto generare 5MW di elettricita' caratterizzato dall'estrazione e reiniezione dei fluidi dal sottosuolo in condizioni di completa "assenza di emissioni in atmosfera".

Mica scherzano, questa e' alchimia vera!

Il tutto e' iniziato nel 2015 con appunto la Geoelectric societa' a responsabilita' limitata che inizia la procedura per l'approvazione della Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA). Il governo gli dice che vuole delle verifiche ultieriori, con simulazioni numeriche. La Geoelectric aveva tempo fino al 18 Giugno del 2017 per presentarle. Siccome non l'ha fatto, adesso arriva l'archiviazione.

Nel frattempo si era gia' espressa la commissione regionale campana per la VIA che aveva espresso parere negativo perche' mancavano oltre al modello numerico per valutare le perturbazioni all'ambiente dovute all'estrazioni di fluidi dal sottosuolo, anche gli studi sulla sismicita' storica, la valutazione del rischio sismico, vulcanico e sul bradisismo che interessa la zona.

Interessante che invece di parlare di queste cose importanti, come appunto il rischio sismico, vulcanico e il bradisismo, considerata anche l'alta densita' abitativa, nel loro progetto portano avanti un lungo monologo sulla storia della geotermia degli antichi romani e delle terme di Tivoli! Ricordano pure che le terme non furono sfruttate durante il periodo dei barbari e del medioevo, ma che invece ci fu una vera riscoperta nel Rinascimento.

Tutto e' descritto in modo fiabesco e benevolo, con fluidi che circolano, quasi danzanti, rocce permeabili ed accoglienti, entalpia e temperature a piacimento.

La temperatura dei fluidi di Scarfoglio sarebbe stata di 165 gradi centigradi da estrarre caldi e poi reinserire freddi nel sottosuolo. I pozzi sarebbero stati profondi 900-950 metri.

Nel 2015 argomentavano pure che il loro progetto e' “di pubblico interesse” e “di pubblica utilità, indifferibile e urgente” e come tale in teoria gode di alcune facilitazioni in sede di realizzazione del progetto.

Ma di terremoti e di vulcani non si parla!

Notare che i loro "fluidi di lavoro" sono "organici", ma di quale composto chimico si tratti non e' dato sapere.

Avevano pure individuato l'area, vicino a "capannoni dedicati a prevalente attività di vendita di automezzi". Mmh. Interessante. Trivelle e pozzi vicino ai rivenditori di macchine.

Ma poi, chi era questa Geoelectric?

Era una sorta di consorzio fra il gruppo Murena-Zecchina costruzioni, fra le prime 20 ditte italiane di edilizia e 500 impiegati che poi ha cercato di diversificare, specie con il fotovoltaico in Puglia; poi c'era il gruppo Marconi anche questa operante nel settore del fotovoltaico e infine il Gruppo Fiore che si occupa della costruzione di impianti complessi.  Assieme volevano appunto dedicarsi al geotermico.

Chi li avrebbe aiutati ?

Ecco qui:l'INGV, l'istituto nazionale di geologia e di vulcanologia italiano, ente del quale non mi fiderei neanche per un millisecondo.

Vengono introdotti come partner della Geoelectric.

Ma puo' essere che l'INGV si mette intanto ad aiutare una ditta di privati, e sopratutto che solo *pensi* che il tutto sia fattibile? Dove sta il loro senso della prevenzione? Il loro buonsenso? Come possono pensare che sia tuttapposto trivellare tra capannoni di automobili, fra le solfatare del Vesuvio?  Alla fine il progetto e' stato archiviato, ma loro si erano bene incamminati a dare il supporto a questo progetto.

Ed ecco qui che ricompare il nostro amico, il progetto ‘Campi Flegrei Deep Drilling Project' di cui abbiamo gia' parlato e che essenzialmente vuol farci passare l'idea che e' tutto per scopo di ricerca benevola e per amore della conoscenza.

Ah si, solo che guarda caso in tutta questa conoscenza ci vengono fuori le partnership con gli impianti geotermici per generare elettricita' da parte di privati. Certo a scopo di beneficenza e per amore del sapere!

Oltre all'INGV ci sarebbe stata la AMRA che sta per "Analysis and Monitoring of Enviromental Risk". Lo dicono in inglese ma l'acronicmo e' italiano e sta per centro di Analisi e Monitoraggio Rischio Ambientale. Dicono che loro sono specializzati in Early Warning e Rischio Sismico, Vulnerabilità del sistema marino costiero,  Rischio Idro-Geologico, Modelli Multirischio e pure Homeland Security.

Ma.. perche' non parlano in italiano questi? E' ridicolo parlare di Homeland Security! E' cosi difficile dire Sicurezza Nazionale? Bah.

Ad ogni modo con tutti questi consulenti e con tutto questo sapere fa davvero ridere che non siano stati capaci di tirar su un modello di rischio per il progetto medesimo e che anzi, il ministero li abbia archiviati perche' mancano studi numerici sul rischio stesso!

Tuttapposto pero' perche' (non si sa come) questa AMRA sta  partecipando sia al 'Campi Flegrei
Deep Drilling Project' che al `Geothermal Engineering Integrating Mitigation of Induced Seismicity in Reservoirs' con l'obiettivo di "contribuire alla soluzione del problema della sismicita' indotta".

Ma... nessuno gli ha mai detto che basta solo non trivellare in zone sensibili e la sismicita' indotta scompare?

E poi una lunga sfilza di Unviersita' e di progetti, da Panama a Roccamonfina (giuro!), dalla Turchia al Kenya. Pare una specie di sceneggiata napoletana a chi e' piu' importante. Non so perche' mi viene in mente Toto' che legge questi nomi altisonanti tutto orgoglioso e in pompamagna.... "signori e signore il progetto di Roccamonfina"!

Un sacco di bla bla, ma che si tratta di trivellare il Vesuvio non c'e' parola.

Scarfoglio e' stato archiviato ma non e' solo. Altri progetti "pilota" in zona sono "Cuma" (sempre della Geoelectric) e "Forio" e sono ancora in sede di valutazione.

Forio e' prevista per l'isola di Ischia.













Thursday, October 26, 2017

Ombrina Mare smantellata e sconfitta per sempre


Tutto questo non c'e' piu:




Grazie ad Assunta di Florio per le foto

Ecco,

dopo nove anni e sei mesi, Ombrina Mare va via.

Era l'Aprile del 2008 e la signora Liliana mi scrisse di questo mostro che si iniziava a vedere da fuori la finestra della sua stanza da letto.

Era un mostro a righe, bianche e rosse, ed era in constrasto assoluto con il blu del mare, e del cielo.

Vivevo lontano, e pensavo di aver gia' dato tutto al Centro Oli di Ortona, che ha consumato, a suo tempo, altri dei miei giorni. Ma non c'era nessun altro.

La storia e' durata fino a questi giorni, passando per le piazze, per le universita', per i dibattiti televisivi, per le pagine del Fatto Quotidiano, e pure per i tribunali.

La fine di Ombrina e' qui. La ditta che voleva costruirlo, la Mediterranean Oil and Gas non c'e' piu', non ha retto alla resistenza di chi si oppeneva al suo mostro marino e hanno finito i soldi. Era il loro piu' grande progetto. Con Ombrina e la sua FPSO dovevano fare il salto di qualita' e passare da una microditta quotata sulla borsa secondaria di Londra ad una compagnia petrolifera di medie dimensioni.

Non ci sono riusciti.

Chi e' venuto dopo ha maldestramente pensato di poter tirar fuori petrolio in quattro e quattrotto dalle spoglie della Mediterannean Oil and Gas, ma non ha fatto i conti ne con il popolo d'Abruzzo, ne con questo piccolo grande blog.

Ombrina e' morta e sulla sua scia un divieto nazionale alle trivelle lungo una fascia di 12 chilometri lungo tutto il perimetro nazionale. 

Mi sono rimasti anche dei grandi amari nell'anima con Ombrina. Persone, tante persone, che ne hanno approfittato per cercare di farcisi improbabili carriere politiche, sedicenti associazioni ambientaliste che tirano su pure il 5per mille e che sono state solo di ostacolo e non di unione o propositivi. Alcuni mi hanno anche rubato denaro. 

Non e' bello scrivere queste cose, ma e' la verita'. Alla fine sono quasi dieci anni, ed e' impossibile che i puri siano da una parte e che i cattivi siano tutti dalla parte delle trivelle.  Lezioni di vita anche queste.

Resta il fatto che due cose ho scoperto.

Uno e' che la volonta' popolare e' irresistibile quando e' ben cosciente, organizzata, determinata, e testarda, e che guidata da perseveranza e intelligenza questa volonta' popolare puo' crescere.  L'Abruzzo ne' e' stato un grande, bell'esempio. Ma ci vuole lavoro e una opposizione su questa scala non nasce dal nulla e non si improvvisa. E l'altra invece sono che tante persone sono si' pure dentro, e io sono stata fortunata ad averle incontrate e ad aver fatto un pezzo di vita assieme a loro.

Passeranno gli anni e i decenni ma dentro portero' sempre la silenziosa certezza di avere, a suo tempo, fatto qualcosa di buono, senza desistere per quasi dieci anni, per una terra ormai non piu' mia, da lontano, e per amore.






Tuesday, October 24, 2017

Le microplastiche nel 72% dell'acqua che beviamo





Un gruppo di ricercatori della University of Minnesota School of Public Health, ha studiato vari campioni d'acqua da tutto il mondo per vedere se e come e quanto erano state contaminate dalla microplastica.

Viene fuori che l'83% dei 159 campioni di acqua analizzata in giro per il mondo, e' contaminata dalla microplastica, e questo include acqua da rubinetto e acqua da bottiglietta.

I tassi maggiori di microplastica sono negli USA, dove il 94% dell'acqua del rubinetto e' contaminata; parliamo di campioni presi al Congresso, alla sede dell' Environmental Protection Agency e pure a Trump Tower di New York, non all'acqua presa nel ruscelletto vicino a qualche discarica.

Alti tassi anche in Libano ed India.  Il minor tasso di acqua alla microplastica si registro' in UK, Germania e France dove pero' ugualmente siamo al 72%.

La microplastica non arriva da sola,  porta con se anche possibili sostanze chimiche che possono essere intrappolate attorno a questi filamenti; tali sostanze chimiche sono pero' sono piu' difficili da quantificare, perche' il diametro e' troppo piccolo. Ma questo non vuol dire che non dobbiamo preoccuparcene, quando sono davvero cosi piccoli questi composti chimici - sulla scala del nanometro, un miliardesimo di metro - anche se non li vediamo, possono penetrare cellule ed organi.

Quali siano le conseguenze di tutto questo non si sa.

In Germania un altro gruppo di ricercatori ha trovato microplastica in 24 marchi di birra testata, e cosi pure nel miele e nello zucchero. A Parigi la microplastica e' stata trovata pure nell'atmosfera:  con circa 3-10 tonnellate di fibre che finisce sulla citta' ogni anno, finendo pure dentro le case della gente.

Come questa microplastica entri nell'acqua del rubinetto e' ancora un mistero: tappeti e abiti plastificati, nonche' asciugatrici, rilasciano queste microfibre nell'ambiente che poi finiscono in aria, negli scarichi quando si lavano, alla fine nell'acqua di laghi e fiumi.  I depurtatori standard non riescono a filtrarli tutti perche' troppo piccoli, circa 10 micron, cioe' un decimillesimo di metro.

Ogni anno vengono prodotti 300milioni di tonnellate di plastica.

Solo il 20% viene reciclato o riusato.

Lo scandalo e la preoccupazione su questi temi sono davvero minimali, eppure ne dovremmo parlare tutti i giorni e tutti giorni volere iniziare da qualche parte a salvare questo nostro povero pianeta e noi stessi.