.

.

Monday, September 5, 2011

Dal blog di Sicilia

Questa intervista con Guido Picchetti e' stata originariamente pubblicata qui.

5 settembre 2011 - Ho conosciuto Maria Rita D’Orsogna (nella foto) solo di recente, dopo quello che in inglese viene definito un “misunderstanding”, un fraintendimento in italiano, ma che possiamo anche definire una “gaffe”, da parte mia naturalmente.

La racconto in breve in quanto da l’idea immediatamente del carattere del personaggio che ho avuto oggi l’onore di intervistare (a distanza, in questo momento Maria Rita è a Santa Monica in Califormia, nei pressi dell’Università dove insegna fisica), e della quale riporto con estremo piacere le dichiarazioni in questo articolo che mi auguro possa chiarire le idee sul problema delle trivellazioni petrolifere nel Mediterraneo a chi avrà modo di leggerlo.


La nostra conoscenza risale a qualche settimana fa, quando la rassegna stampa di “Google” mi segnalò un articolo sulle trivellazioni in Italia pubblicato in un blog dedicato a tali temi, riferendosi particolarmente a quanto da qualche tempo stava accadendo in Abruzzo e davanti alle sue coste. In esso si parlava anche del problema delle trivellazioni nello Stretto di Sicilia intorno a Pantelleria, e notai che erano riportate in proposito alcune inesattezze.

L’articolo era postato da una “certa Maria Rita“, e, facendo rilevare la cosa in un successivo mio articolo sull’argomento che pubblicai in rete, così apostrofai l’autrice, in un modo certamente poco elegante e di cui ancora adesso mi scuso…

La sera stessa ricevetti una richiesta di amicizia su FB da una “certa” Maria Rita D’Orsogna. E fu facile per me fare “quattro” con “due più due”, e accettarla come “amica” senza ancora saper bene chi fosse, ma solo per il carattere della persona che la richiesta di “amicizia” testimoniava, a dimostrazione di come non se la fosse minimamente presa per le mie osservazioni critiche.

Scopri solo dopo chi fosse realmente quella Maria Rita, il suo curriculum, le sue esperienze, lo spessore del personaggio, e l’impegno che da alcuni anni in questo campo andava manifestando in difesa del territorio dei suoi genitori, confrontandosi e battagliando con politici e scienziati della materia… E a questo punto, è facile capirlo, fui io a dover arrossire per questa mia ignoranza … Ma fui anche lieto di averla potuto conoscere, e sono certo che questo piacere sarà condiviso anche da altri. È una di quelle persone che all’estero fa onore all’Italia, ma che non ha certamente dimenticato il suo Paese d’origine, ma anzi si batte per esso e perché possa esserci per tutti noi un futuro migliore…

Chi è Maria Rita D’Orsogna ? Cenni biografici …

Sono figlia di genitori abruzzesi emigrati negli USA prima che io nascessi. Per tutta la vita ho vissuto fra due mondi diversi – il Bronx e i campi d’Abruzzo – che fanno ugualmente parte di me e che in un modo o nell’altro si complementano nella mia vita.

Ho studiato fisica all’Università di Padova e poi sono venuta negli USA a fare il dottorato, a Los Angeles. È una città che agli europei può sembrare difficile – con spazi enormi, la necessità di una macchina, la mancanza di un vero centro cittadino – ma che io amo particolarmente. È una città dove la maggior parte degli abitanti non è bianca e in cui nessuno si sente diverso, perché veniamo tutti da paesi, e culture distinte. C’è molta ricchezza umana e culturale qui, e una volta arrivata non sono voluta più andare via. È la mia casa. Professionalmente sono un fisico, professore associato presso il dipartimento di matematica della California State University at Northridge, a Los Angeles.

Com’è nato il suo impegno in fatto di tutela ambientale in Abruzzo e in Italia (Adriatico, Basilicata, Pantelleria, etc.) ?

Nell’ottobre del 2007 mi telefonò un amico da Lanciano, in Abruzzo, dove vivono i miei genitori e in conversazione menzionò questo misterioso “centro oli” di Ortona. Non c’erano molte informazioni all’epoca su quella che poi scoprimmo essere una raffineria proposta dall’ENI fra i campi del Montepulciano per trattare petrolio di scarsa qualità e fortemente inquinante. Capii subito però che estrarre petrolio scadente e raffinarlo fra i vigneti era qualcosa di nefasto che non avrebbe portato niente di buono all’Abruzzo. Così, anche se da lontano, anche se tutti mi dicevano che era una battaglia persa, mi misi all’opera.

Presi dei libri dall’università e studiai meglio la situazione, parlai con colleghi americani, con persone di Ortona. Una volta che il quadro mi divenne chiaro – sui limiti emissivi di sostanze inquinanti in Italia, sull’idrogeno solforato, sugli effetti degli scarti petroliferi nella vita delle persone e sul ciclo agricolo e ambientale – ho cercato di diffondere il messaggio ai cittadini. Pian piano la battaglia si è allargata alle concessioni marine d’Abruzzo e in altre parte d’Italia: con inviti di coinvolgimenti in altre realtà locali come Savona, la Brianza, la Murgia, il Polesine. Chioggia, le isole Tremiti, la Basilicata, il Salento, Pantelleria. Come dire di no?

Alla fine siamo un Paese solo e salvare l’Abruzzo non serve a niente se poi invece i pozzi li fanno in altre regioni. Ovviamente il tempo è sempre tiranno, ma cerco di fare il meglio che posso, anche con qualche sacrificio personale in termini di tempo libero.

Il coinvolgimento del nostro Paese a favore della difesa dei suoi tesori. Come riuscire ad ottenerlo ?

Sicuramente con l’informazione, con un maggior attivismo da parte dei cittadini, e con la pressione sui nostri politici. I progetti petroliferi riguardano tutta la dorsale adriatica e si snodano dal Piemonte alla Sicilia. Occorre che l’Italia decida che tipo di nazione vuole essere – un campo di petrolio, o quello che a suo tempo era il giardino del mondo? Non possiamo essere tutto allo stesso tempo. Non possiamo pensare di attrarre turisti in Salento o a Pantelleria ed accoglierli con raffinerie e pozzi di petrolio. Abbiamo l’esempio lampante di Taormina e di Gela. La prima tanti anni fa rifiutò di diventare sede di impianti petrolchimici, la seconda disse si. A distanza di 50 anni, e’ evidente quale sia stata la scelta più oculata e chi ha ora una qualità di vita migliore.

Pasquale de Vita, il presidente dell’Unione Italiana Petroliera afferma che l’Italia è in “competizione sbilanciata” con l’Arabia Saudita per la produzione di petrolio perchè nel nostro paese la protezione dell’ambiente pone maggiori vincoli che in Arabia Saudita. Ci si deve rendere conto che non siamo e non saremo mai l’Arabia Saudita! Affermazioni come questa possono essere fatte perché, almeno sul tema petrolio, in Italia veramente manca l’informazione di base, diffusa. Molte persone pensano che il petrolio li farà arricchire e che è tutto necessario per i nostri stili di vita del 21esimo secolo. Invece non è così: intanto ad arricchirsi saranno gli investitori stranieri e non certo i cittadini, visto che le royalties, e in generale le percentuali che restano sul territorio in Italia, sono bassissime.

Il più grande giacimento europeo è in Basilicata e produce solo il 6% del fabbisogno nazionale. Questo vuol dire che volenti o nolenti, continueremo a importare petrolio dall’estero a lungo. La Basilicata è un ottimo esempio della mancanza di informazione: quando i petrolieri – ENI e Total – arrivarono circa 15-20 anni fa promisero mari e monti. Oggi la Basilicata è la regione più povera d’Italia, trovano petrolio nel miele, le dighe sono inquinate da idrocarburi, con morie di pesci, alcune sorgenti idriche sono state chiuse, seppelliscono immondizia tossica petrolifera nei campi e trivellano nei parchi. Vigneti, meleti e campi di fagioli che sorgono vicino a pozzi e raffinerie sono rovinati. I tumori aumentano e così pure la disoccupazione e l’emigrazione. È questo che vogliamo per l’Italia? Per il 6% del fabbisogno nazionale di petrolio? Non sarebbe più intelligente invece incentivare seriamente l’industria del fotovoltaico obbligando edifici e fabbriche ad installare pannelli solari o obbligando i costruttori a costruire edifici eco-sostenibili e a risparmio energetico?

Il governo centrale fa poco per diffondere informazione, e anche per monitorare che tutte le attività petrolifere siano condotte nel rispetto delle regole. A fronte di tutti questi disastri ambientali in Basilicata non ho mai sentito il Ministero dell’Ambiente pretendere maggiori controlli, fare multe salate o aprire cause contro l’ENI e a difesa dei cittadini. Mai. Spesso gli investitori stranieri sanno ciò che accade in Italia prima e meglio degli italiani stessi. Io stessa prendo la maggior parte delle informazioni dai siti stranieri. Com’è possibile tutto questo? Come mai il governo norvegese spiega ai suoi cittadini sulle sue pagine web e in inglese, in modo che tutti capiscano, che le estrazioni di petrolio “causano inquinamento all’aria, all’acqua e ai fondali marini”, mentre il governo italiano non dice niente?

Abbiamo limiti legali spesso migliaia di volte più alti che in altri paesi – per la diossina, per l’idrogeno solforato ad esempio – oppure dei limiti in mare per le trivelle che sono veramente ridicoli. Fino al 2010 si potevano costruire piattaforme dove si voleva. Nel 2010 arriva il decreto Prestigiacomo che impone il limite a circa 9km da riva. In California, per contro, è dal 1969 che non si costruiscono più impianti petroliferi in mare, e la zona di interdizione alle trivelle off-shore è di circa 160 chilometri per proteggere turismo e pesca. Il raffronto non regge: 9km contro 160. Che protezione può offrire un pozzo a 9.5 chilometri da riva?

Qui in Italia molto spesso il cittadino comune queste cose non le sa. Ma anche quando le sa, l’attivismo degli italiani è spesso deludente. Ci sono cittadini eroici, ma la persona media crede che ci sarà qualcun altro che li salverà oppure, accetta tutto fatalisticamente, ritenendo che è inutile perderci tempo perchè tanto è tutto già deciso. Questo è un atteggiamento sbagliato perchè non si cresce – e che esempio diamo ai giovani se ci arrendiamo prima ancora di cominciare? O se lasciamo credere loro che l’idealismo non porta da nessuna parte? Vincere invece è possibile, se ci si crede davvero e se si è tutti uniti.

Basta solo guardare com’è finita la storia del “Centro Oli” di Ortona: l’ENI lo considerava un progetto di punta, aveva tutti i permessi pronti, il presidente della regione Abruzzo all’epoca Ottaviano del Turco e il sindaco di Ortona Nicola Fratino erano favorevoli; l’assessore all’ambiente Franco Caramanico aveva detto che si trattava di una occasione che l’Abruzzo non poteva perdere, e le trivelle erano pronte per partire. Avevano detto sì anche Bersani, Di Pietro e Pecoraro Scanio. Invece grazie all’informazione, e all’attivismo intelligente dei cittadini siamo riusciti a scongiurare la costruzione di questa raffineria. Abbiamo martellato la classe politica per mesi ed anni, facendo diventare il tema del petrolio uno dei più importanti della campagna elettorale del 2008-2009. Siamo riusciti anche a sconfiggere alcuni pozzi a mare d’Abruzzo – della Petroceltic e della Mediterranean Oil and Gas – sebbene l’attuale presidente della regione Gianni Chiodi non si mostri particolarmente interessato alla faccenda. Il tutto perchè noi cittadini l’abbiamo fortemente voluto, e voluto più dei petrolieri e di alcuni politici corrotti.

Il pericolo delle piattaforme off-shore nei mari italiani sta crescendo con un ritmo esponenziale. Come affrontarlo?

Come sopra: con l’informazione, l’attivismo, la pressione incessante sui politici.

Per i pozzi già trivellati purtroppo c’è poco da fare, e si può solo esigere che il tutto venga fatto il più possibile nel rispetto dell’ambiente. Ma per quelli ancora non autorizzati c’è molto che si può fare. A livello civico, l’Europa impone che il parere dei cittadini per tutti gli impianti di forte impatto ambientale sia ascoltato e rispettato. Il Ministero dell’ambiente e delle attività produttive lascia un periodo di circa 60 giorni in cui si possono valutare i progetti petroliferi (ma anche di inceneritori, cave e discariche) e in cui i cittadini possono dire la loro in modo ufficiale o “scrivere osservazioni”.

La scrittura di testi al Ministero è uno strumento importante che la gente però non conosce o in cui non ripone troppa fiducia, proprio per mancanza di informazione. In Abruzzo a suo tempo abbiamo messo su una forte campagna di coinvolgimento dei cittadini per i pozzi descritti sopra, e abbiamo mandato oltre 200 lettere di opposizione da parte di cittadini, associazioni e anche da parte della chiesa cattolica direttamente al Ministero dell’Ambiente.

Il Ministero ha poi bocciato il pozzo “Ombrina Mare” citando anche le nostre osservazioni fra le motivazioni del diniego. E una cosa simile sta avvenendo alle isole Tremiti, dove gli avvocati stanno facendo ricorso al TAR contro le trivelle Petrocelitc nei mari del Gargano – una follia -, usando proprio le nostre osservazioni come una delle argomentazioni contro le piattaforme, in quanto manifestazione della volontà popolare nel rispetto delle leggi europee.

Una iniziativa simile è in corso anche per le trivelle a Pantelleria: e se si vuole manifestare la propria contrarietà al governo, basta solo seguire le istruzioni qui riportate.

Tutto questo deve essere accompagnato da un attivismo costante: in una parola occorre rompere le scatole ai politici il più possibile e ricordare loro che o si adoperano per il bene comune oppure non saranno più votati, a prescindere dal colore politico.

La situazione delle trivellazioni petrolifere off-shore riguarda l’intero Mediterraneo. Oltre all’Italia sono coinvolte molte altre Nazioni che lambiscono le sue sponde (Malta, Tunisia, Libia, Grecia, Cipro, Israele…). Come rispondere alla corsa all’oro nero nel “Mare Nostrum”?

È un discorso molto importante, che dovrebbe portare ad un rapido accordo di tutte le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo con una politica comune di difesa del mare di fronte a un tale problema. Le basi politiche per poter operare ci sono già da tempo. Basti pensare alla Convenzione di Barcellona, ai protocolli sottoscritti da tutti i Paesi Membri, Unione Europea compresa, e all’UNEP-MAP (Units Nations Environment Program-Mediterranean Plan Action), l’organismo istituito dalla Convenzione sotto l’ombrello della Nazioni Unite per realizzare il “Piano di Azione per la Tutela Ambientale del Mediterraneo”.

L’Italia dovrebbe giocare un ruolo fondamentale in tutto questo. Ad esempio, un buon punto di partenza sarebbe un accordo con le nazioni dell’ex Yugoslavia per vietare le trivelle in Adriatico. Si potrebbe poi sperare in una azione allargata che riguardi i paesi di tutto il bacino Mediterraneo. Ma è sempre dal piccolo che si parte: ad esempio, sono stupita che dopo 20 anni ancora non si riesca a trovare la parola fine per l’instaurazione dell’area marina protetta di Pantelleria. Venti anni sono davvero troppi. Decidersi su quest’area protetta sarebbe un ottimo punto di partenza, anche per sensibilizzare i cittadini a quanto importante sia la difesa del mare, per poi mirare a cose più grandi.

Come vedono negli USA la situazione della corsa all’oro nero nel Mediterraneo?

Non se ne parla molto perché non ne parla nemmeno più di tanto la stampa italiana.

Quando però ne parlo ai miei colleghi e amici americani, ad esempio del fatto che si voglia trivellare a 10 chilometri da Venezia, restano tutti allibiti, e non riescono a capacitarsi di come una nazione possa essere così cieca da non volere proteggere una delle città più belle del mondo. La laguna veneta è fragile ed estrarre petrolio o metano porterà a casi di subsidenza e di abbassamento ulteriore dei fondali marini. E qui negli USA sono ancora più sconvolti quando spiego loro che fino al 2010 non c’erano regole per il petrolio in mare. Ma gli americani sono anche un popolo pratico, e la prima cosa che dicono è: cosa posso fare in prima persona per aiutare ? Sarebbe bello se anche in Italia potessimo essere un po’ così, capaci di mostrare solidarietà nazionale in un problema che ci accomuna tutti.

“Moving Planet”, vale a dire “da una smossa al tuo pianeta”… Così è denominata l‘iniziativa promossa dal gruppo “350 org” per il 24 settembre p.v. in tutto il mondo. Qual è la partecipazione italiana ?

Secondo gli scienziati, per avere un pianeta sano occorrerebbe che l’aria che respiriamo avesse una concentrazione di anidride carbonica non superiore a 350 parti per milione (350 ppm). Attualmente siamo a 390 ppm ed bisogna abbassare evidentemente questo valore di circa 40 punti. Diversi anni fa, un gruppo di attivisti da tutto il mondo si è riunito per sensibilizzare i cittadini sul problema del riscaldamento globale, sulla necessità di ridurre l’uso di fonti fossili e in generale di vivere una vita più sostenibile. Il loro nome è proprio “350.org” e periodicamente organizzano eventi e manifestazioni a livello mondiale.

Per Sabato 24 settembre 2011 “350.org” ha lanciato l’iniziativa di organizzare in tutte le nazioni della Terra eventi legati al tema della sostenibilità. In Italia, a Catania e Siracusa si celebrerà “A day of natural blue sea”, finalizzato alla sensibilizzazione contro le trivelle nei mari della Sicilia.

Ma altri eventi ci saranno anche a Milano, Brindisi, Napoli Roma e Pontinia (Latina) per incoraggiare l’uso della bicicletta in città, e altri ancora ad Ancona e Torino per incentivare il consumo di cibo prodotto localmente.

Maggiori informazioni si possono ottenere qui.

Perché lei fa tutto questo?

Perché personalmente non posso accettare che delle ditte straniere vengano a fare in Italia delle cose che altrove non sarebbe lecito, e ciò a causa, principalmente, dell’ignavia di chi ci governa. E non è solo una questione di ambiente, è una questione di giustizia sociale. Chi soffrirà gli effetti delle trivelle selvagge?

Il contadino, il pescatore, l’operatore turistico, il cittadino che vive vicino all’impianto petrolifero, e soprattutto un domani i nostri figli. Non certo il Ministro Prestigiacomo. No, non lo posso tollerare, perchè non è giusto. E spero veramente che tutti si rendano conto di quanto importante sia il coinvolgimento del cittadino medio nelle battaglie alla difesa dei beni comuni, perchè alla fine si vince veramente se siamo tutti informati, intelligenti, attivi e sappiamo cosa vogliamo.

L’Abruzzo, Pantelleria, la Basilicata, il Salento, sono nostri e dovremmo essere noi come collettività a difendere il nostro vero unico patrimonio con le unghie e con i denti, da Nord a Sud, e tutti i santi giorni della nostra vita.


1 comment:

Anonymous said...

Grazie dottoressa D'Orsogna