Non e' la Cina, e' Taranto.
Scene di miseria umana in questi mesi all'Ilva di Taranto.
Dopo tanti tira e molla si dice che la fabbrica chiudera'. Chissa'. La gente muore, gli operai protestano, ci si chiede se sia meglio morire di fame o di cancro. La politica parla ma non dice niente, la chiesa tace. Il signor Riva conta i suoi quattrini sprezzante del dolore e della devastazione che ha portato.
Ma dove erano tutti venti, trenta, quaranta anni fa? I veleni di allora erano uguali a quelli di oggi, perche' nessuno si e' mai posto domande?
Sono anni che si leggono di pecore alla diossina, di diossina nel latte materno, di cielo che non e' cielo.
Sono anni di silenzio. Se non c'era la magistratura, si sarebbe andati avanti cosi, sine die? A pane, veleni e morti?
Non si doveva arrivare a questo.
Bastavano poche cose: il coraggio di imporre ai signori Riva e a chi gestiva l'Ilva prima di loro di applicare delle migliorie anche graduali ma costanti e vere nel tempo, in modo da ridurre i veleni
sputati in aria.
Bastavano controlli periodici, multe punitive, denunce, richieste nel corso del tempo, alla prima pecora abbattuta per diossina, al primo giorno di sfondamento dei limiti legali, e non quando il vaso e' pieno di disperazione.
Soprattutto sarebbe bastato periodicamente chiedersi: dove va questa nazione?
E' l'industria pesante - all'Italiana, sregolata e senza controlli - il nostro futuro?
L'Ilva produce acciaio.
Landini della FIOM dice che serve per i telefonini. In verita', la maggior parte della richiesta di acciaio e' per i paesi in via di sviluppo - India e Cina - che se lo producono da se. E' ovvio che non potremmo mai competere con loro, specie se volessimo fare le cose in rispetto per l'ambiente.
Qui negli USA, uno strabiliante 92%, si quasi la totalita', dell'acciaio che si usa e' reciclato e non prodotto.
Credo che un analista qualunque avrebbe capito che forse sarebbe stato meglio venti anni fa iniziare a pensare ad un futuro post-Ilva.
Perche' succedera' , o e' successo gia', che questi relitti industriali di un tempo che non torna piu' o scoppiano perche' inquinano, oppure diventano antieconomici.
E la storia dell'Ilva non e' poi cosi' diversa da quella della Alcoa in Sardegna, di Bussi in Abruzzo, di Bagnoli a Napoli, e di un modo di concepire il lavoro che non e' piu' quello degli anni '60.
Il mondo globale, che ci piaccia o no, non e' quello dei nostri padri e non si puo' pensare di arroccarsi a qualcosa che prima o poi tramontera', e piu' prima che poi.
Occorre invece avere coraggio, e programare - una parola cosi sconosciuta in Italia - guardando alla realta' vera, e magari immaginando quella di domani, e non ostinarsi ad andare avanti, ma guardando indietro.
E adesso cosa fare?
Io direi: invece che dare sussidi all'Ilva, decidiamo di chiuderla per davvero questa fabbrica, bonifichiamo l'area, multiamo Mr. Riva alla grande, riqualifichiamo gli operai, spieghiamogli che la loro vita non finisce perche' finisce l'Ilva.
Soprattutto prendiamo esempio dall'Ilva per evitare che fra 50 anni ci siano storie simili.
Tutti questi campi di petrolio a mare, in terra che Passera sta progettando, altro non sono che delle piccole Taranto, delle piccole Gela di domani. Dove arrivano l'Ilva o l'ENI o la Northern Petroleum ad ingoiarsi un intero territorio uccidendo qualsiasi altra prospettiva economica e sociale.
L'ha detto bene Briatore (!) : ci sono miliardi fra cinesi e indiani che vogliono non il nostro acciaio, ma che vogliono vedere le nostre citta'.
E curare la bellezza e la qualita' della vita, va di pari passo con la difesa del territorio che deve essere protetto e reso accogliente per i turisti, per noi che ci viviamo.
A tutti i cinesi che vengono qui negli USA, quando gli chiedo, cos'e' che dell'occidente invidi di piu' ti dicono non le nostre universita', la nostra economia, o la nostra democrazia. Ti dicono che piu' di tutto invidiano la nostra aria pulita, qualcosa che non si puo' compare cosi facilmente a Pechino.
E allora, diamogli questo.
Rendiamo questo paese un enorme museo vissuto. E non un colabrodo di trivelle, di ruderi industriali, di aria malsana. Tutte le citta', ma proprio tutte, in Italia, hanno i loro tesori, inclusa Taranto. Inziamo da qui.
E facciamolo con intelligenza, senza interpellare l'amico dell'amico sul come fare le campagne pubblicitarie, i siti web che non funzionano, ma chiamando i migliori che esistano sul pianeta. Con praticita', creativita', senza interessi di lucro personale, e con degli obiettivi veri, su 5, 10, 20 anni.
Usciamo da questo vecchiume una volta per tutte, da questa paralisi.
E' il 2012 e non e' piu' il tempo di morire di inquinamento.
1 comment:
Leggo anche oggi le cronache da Taranto e mi sembra impossibile che la politica e i tecnici siano nostri contemporanei del III millennio.
i problemi secondo questa masnada non sono le pratiche illegali dei padroni della fabbrica le omissioni e le complicità della classe dirigente e della sanità locale, no: i problemi sono i magistrati che in base a un pregiudizio ideologico (cavoli, il rispetto della Costituzione!) pretendono che una fabbrica nel mondo globalizzato non inquini l'ambiente e non uccida le persone.
La geniale soluzione? Adottare il 'modello Acerra', inviando l'esercito. Ma l'esercito contro chi???
Temo che l'inquinamento, l'obsolescenza e soprattutto i tumori non si spaventino vedendo armi e divise...
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