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Wednesday, November 30, 2016

Aggiungi po di grafene al tuo pannello e ti dara' energia anche sotto la pioggia








Quante volte l'abbiamo sentito?

I pannelli solari non saranno mai la soluzione ai nostri guai energetici perche' sono troppo imprevedibili, e tutto dipende dalle condizioni climatiche. Come arrivera' mai l'energia quando e' nuovoloso? Di notte? Quando piove?

Beh, per l'ultimo caso la risposta arriva dalla Cina.

Un gruppo di ricercatori della China Yunnan Normal University e della Ocean University hanno applicato uno strato di grafene e molecole d'acqua alla superficie di un pannello solare con molecole di stagno e sono riusciti ad estrarre elettricita'. 

Qualcuno ricordera' il grafene. E' una superficie di carbone di un atomo di spessore ed e' estratto dalla grafite. A causa del modo in cui questi atomi sono organizzati in questa superficie il grafene e' un ottimo conduttore, e' fortemente resistente, e' estremamente malleabile.

Nel 2006 il premio Nobel per la fisica venne dato ai suoi "scopritori", ricercatori dell'Universita' di Manchester nel Regno Unito.  Da allora e' stato usato in varie piccole-grandi invenzioni di questi anni.

E adesso sono arrivati i cinesi ad usare in grafene per generare energia sotto la pioggia.

Cosa hanno fatto? Hanno coperto un pannello con uno strato di grafene.

Ora, l'acqua piovana non e' solo acqua, ma contiene piccolissime quantita' di sodio, cloro e sali, in dipendenza dalla geografia locale. Spesso questi atomi e questi sali sono sottoforma di ioni, cioe' hanno delle cariche elettriche, perche' hanno uno o piu' elettroni in eccesso o di meno del normale. 

Cosi' i ricercatori cinesi hanno deciso di usare grafene come materiale di rivestimento di questi pannelli e cercare di studiare le reazioni del grafene stesso con acqua contenente gli stessi ioni tipici della pioggia.

E voila'.

Gli ioni carichi positivamente hanno interagito con gli elettroni del grafene che hanno portato alla generazione di corrente, anche in assenza di sole.  Quando la pioggia non c'e' il pannello al grafene funziona come un pannello normale.

Ci vorra' ancora del tempo pero' affinche' i pannelli al grafene possano essere commercializzati e diffusi a grande scala.  La resa dei pannelli sotto il sole e' del 22% circa: cioe' di tutta l'energia che gli arriva dal sole solo il 22% viene trasormata in elettricita'. Per i pannelli coperti da grafene sotto la pioggia, la resa e' piu' bassa, del 6.5%.  Un valore certamente importante perche' era appunto la prima volta che succedva, ma occorreara' migliorarla.

Ma il punto non e' questo, io credo. Il punto e' che questo e' un inizio, che ci sono la fuori migliaia di gruppi di ricerca che cercano di mettere a punto nuove tecnologie che potranno rendere l'uso dei pannelli fotovoltaici sempre piu' efficenti.  E domani ci saranno altri gruppi, da qualche altra parte del mondo che miglioreranno questo risultato, che svilupperanno altre idee, che ci faranno fare un altro passo in avanti.

Il futuro e' qui, non nelle trivelle sottoterra.

Ed e' emblematico che tutto questo arriva dalla Cina - uno dei paesi piu' inquinati nel mondo, con forti emissioni di CO2, con ancora decine di impianti a carbone sparsi sul territorio.  Anche loro hanno capito che e' tempo di abbandonare le fonti fossili, e la transizione verso sole e vento e' gia' iniziata.

In questo momento, installano una turbina a vento nel paese *ogni ora*. 

Monday, November 28, 2016

Golfo del Messico: 320 milioni di litri di petrolio sono ancora li



Esce oggi su PNAS -- Proceedings of the National Academy of Sciences -- un nuovo articolo secondo cui dei 4.1 milioni di barili di petrolio rilasciati in mare (cioe' circa 650 milioni di litri di petrolio) la meta' e' stata raccolta, e/o e' evaporata. L'altra meta' e' rimasta nel mare, in un area di 3200 chilometri quadrati a 1500 metri di profondita'.

In all, approximately half of the oil ascended to the ocean surface where it was skimmed or flared by response teams, trapped in sinking particles by marine oil snow sedimentation and flocculent accumulation washed ashore, or left exposed to the canonical weathering processes of evaporation, biodegradation, and photooxidation  

The rest remained in the deep ocean. 

Fanno 325 milioni di litri di petrolio finiti nell'oceano, e di certo nella catena alimentare, in un odo o nell'altro.

Qui un un po di articoli divugativi sul tema

PNAS 1

PNAS 2



Ewan Howington che ha ripreso i suoi capi mentre rilasciavano monnezza petrolifera in mare per un ora e mezza. Era il suo primo giorno di lavoro sulle piattaforme.




Perdite di petrolio ed altra monnezza nel Golfo del Messico.
Storie di tutti i giorni.

Dal video di Ewan


Pensavamo noi tutti che con l'uscita di scena del pozzo Macondo nel Golfo del Messico ci fosse un enorme tuttapposto.

Tutto pulito, tutto scintillante, tutto blu e profumato.

Neanche per sogno.

Macondo e' arrivato alle cronache per la sua enormita', per i due mesi e mezzo di gettito senza sosta nei mari di Louisiana. Ma, anche se un piu' piccoli e piu' brevi di Macondo di pozzi che hanno avuto problemi dal 2010 ad oggi ce ne sono stati.... 11,700.

Esattamente. Piu' di undicimila!

Molti di questi "problemi" sono casi di rilasci illegale in mare, perdite mai registrate, navi che rilasciano accidentalmente o volontariamente monnezza in mare, e altri tipi di sversamenti mentre chi e' preposto alla supervisione chiude un occhio e pure due e si tappa pure il naso.

Il ritmo dei rilasci e degli incidenti cambia da annata ad annata. Nel 2012 erano ben 245 al mese - cioe' un po meno di dieci al giorno! fino ad arrivare a 80 problemi ad Ottobre 2016. "Solo" tre al giorno.

Di tutti questi incidenti, uno e' veramente importante perche' un coraggioso lavoratore delle piattaforme nel 2014 registro' sul telefonino il video con i suoi capi che aprivavano una valvola e rilasciavano a mare monnezza per circa un ora e mezza.

Fra di loro ridevano e parlottavano sul come nascondere il tutto a possibili ispettori.

Il lavoratore si chiama Evan Howington. Era il suo primo giorno di lavoro. Era giovane ed entusiasta. Quando vide che iniziavano a scaricare fluidi di perforazione in mare, espresse le sue perplessita' ma nessuno dei suoi capi gli diede retta. Alla fine era sono un novizio. E quinid non sapendo che altro fare, si mise sulle gambe il telefonino senza che nessuno se ne accorgesse e filmo' la scena.

Un ora e mezza di monnezza che veniva gettata in mare, mentre i supervisori ridevano.

Alla fine consegno' il video alle autorita' e la ditta Walter Oil and Gas e' stata condannata di un crimine grave, un "felony", come si dice qui, e al pagamento di almenpo 400mila dollari.

Perche' questo video e' importante?

Perche' mostra che le perdite sono *volontarie*, che i signori del petrolio sanno benissimo di poter evitare rilasci a mare, ma lo fanno lo stesso perche' e' la cosa piu' facile da fare!

Intanto sulla scia di questo evento che ha causato un bel po di scalpore in Louisiana, i petrolieri e i loro avvocati si mostrano cauti e specialisti del "tuttapposto".

Dopo che il servizio su Ewan Howington e' andato in onda alla TV si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni secondo le quali  "anche loro vivono nella zona" e "amano il mare tanto quanto gli altri".

Dicono che sono episodi rari e che pure se ci sono stati undicimila casi di riversamenti in totale, sono certi che gli effetti sull'ambiente sono ... nulli e trascurabili, per dirla con gli scrittori di petrol-osservazioni in Italia.

E come potrebbe essere altrimenti.. e' sempre tutto nullo e trascurabile!

Finche' non lo e' piu'. Ma poi chi sono questi per dire che gli effetti di tutte quelle perdite, 3 o 10 al giorno che siano, sono nulli e trascurabili?

Secondo SkyTruth tutte quelle perdite hanno portato ad un gran totale di 1 milione di galloni di petrolio in mare *ogni anno*!

Quattro milioni di litri, dopo lo scoppio nel golfo!

L'avvocato dei petrolieri, Mr. Gifford Briggs della Louisiana Oil and Gas Association dice che pure se e' una cifra che puo' sembrare grande, in realta' non lo e' specie se si considera che ogni anno l'industria del petrolio estrae in "totale sicurezza"
20 miliardi di galloni di petrolio.

Cioe' ogni 20mila galloni uno viene perso a mare.

Sa un punto di vista di percentuali, certo e' una buona cifra, ma dal punto di vista assoluto no!

Che sia una buona percentuale o no, il punto che immettiamo in mare enormi volumi di monnezza che non dovrebbero esserci, che non fanno bene al mare. La cifra giusta dovrebbe essere ZERO e non un milioni di galloni.

Specie perche' una volta gettati in mare e' difficilissimo ripristinare e tutto cio' che si puo' fare e' di sperare che il tutto si nasconda  con le correnti oceaniche. 

Ma siccome e' innegabile che perdite di siano, secondo questo Briggs, i riversamento in mare di petrolio sono come le "perdite naturali" che ogni tanto escono dai fondali marini. Anzi, secondo lui queste perdite naturali di petrolio e le perdite dei pozzi non hanno fatto altro che beneficiare gli ecosistemi. Secondo lui questo petrolio in mare fa bene in particolare al plankton che e' alla base della catena alimentare.

Non sanno piu' che inventare, eh?

Ovviamente qualsiasi altro vero esperto non collegato all'industria del petrolio e del gas non puo' che ridere (o piangere!) davanti a tali affermazioni.  Fra questi Jonathan Henderson che studia le perdite da petrolio nel golfo e che conclude una sola cosa:

Queste perdite che continuano ad aumentare in quantita' e in durata sono un indicatore che l'infrastruttura invecchia e che, peggio ancora, non c'e' nessuno a controllare. Secondo sia Henderson che Sky Truth -- tutti volontari! -- mancano i mezzi per assorbire il petrolio quando ci sono queste perdite, mancano i mezzi di sorveglianza e di intervento, e quando ci sono non sono efficenti o non sono sufficenti a far fronte alle emergenze che aumentano.

Come si fa a sapere quanto petrolio finisce in mare? Chi controlla?

Nessuno. Il numero delle perdite e' dichiarato dai petrolieri stessi. Cioe' anche qui, il controllore ed il controllato sono la stessa persona!

Il caso piu' eclatante e' quello del petrolio della Taylor Energy che viene rilasciato in mare dal 2004 senza che nessuno sappia o voglia fare qualsiasi cosa.  In alcuni giorni la scia di petrolio e' lunga 30 miglia! E spesso le cifre ufficiali sono diverse da quelle vere, che appunto riportano enti terzi, spesso fatti di volontari o di giornalisti indipendenti fra cui l'Associated Press.

Le cose non migliorano. Oltre alle prassi di inquinamento da petrolio "normale" c'e' anche il rischio da inquinamento di monnezza che viene su dalle operazioni di fracking, pratica che adesso inizia anche nel Golfo del Messico. Anche qui sparano nel sottosuolo miscele perforanti e tossiche ad alta pressione -- i cosiddetti frac-pack -- che servono per spaccare la roccia ed aumentare il flusso di petrolio che sgorga in superficie.

Dove finische la monnezza del fracking?

E dove puo' finire se non in mare aperto?

E' infatti una prassi *normale* che i petrolieri fanno per le trivelle tradizionali e che fanno per il fracking. Non cambia niente. I fluidi di perforazione, ad alta o a bassa pressione, vengono spesso rigettati a mare mescolati alle acque di scarto estratte dal sottosuolo.

Fra il 2010 ed il 2014 circa 600 pozzi del Golfo del Messico sono stati "fraccati", alcuni anche piu' di una volta, portando il totale di operazioni di fracking a circa 1200 in quattro anni.


Briggs, l'avvocato dei petrolieri dice che e' solo acqua.
Dal suo punto di vista, ovviamente, e' tuttapposto.


E' sempre tuttapposto.

E il giorno in cui ci accorgeremo che non e' tuttapposto niente, perche' l'evidenza sara' incontrovertibile, sara' troppo tardi.


Noialtri possiamo solo avere voglia di sapere queste cose e di usarle per far tesoro di come proteggere i nostri mari e le nostre coste dai signori Briggs di turno.

Sunday, November 27, 2016

L'inferno petrolifero dell'Iraq




Se fosse successo nei nostri paesi occidentali ne avremmo parlato e disquisito per settimane.

Ma succede in Iraq e cosi sono qualche eroica agenzia di stampa internazionale -- Reuters in quetso caso -- ne parla.  Oppure la NASA che qualche tempo fa rilascio' foto da satellite di quanto accadeva nei cieli del paese.

Man mano che l'ISIS perde terreno in Medio Oriente appicanno fuoco ai pozzi che controllavano e se ne vanno.  Hanno semplicemebte messo esplosivi a casaccio e se ne sono andati.

Non gliene importava niente della gente, come puo' importargli dell'ambiente?

E cosi' una zona del nord dell'Iraq si chiama Quayyara ci sono campi di petrolio e sono stati  puntellata da incendi apocalittici e da fiamme e fumi che persistono da mesi, anche da Agosto 2016.

A cercare di fermare il tutto quel che resta del North Oil Company dell'Iraq, uomini che si avvolgono il corpo e il viso in stoffe protettive e che cercano di estinguire le fiamme.

Fra questi uomoini Hussein Saleh che per 30 anni ha lavorato per oil e gas e che dice di non avere mai visto niente di simile.  Ci vogliono giorni per sistemare un solo pozzo. Finora sono riusciti a fermare le fiamme che venivano fuori da sette o otto pozzi.

Ce ne sono ancora dodici.

Su ogni pozzo c'e' un gruppo di circa 150 persone a studiare come meglio fare e a usare tutte le precauzioni possibili.  Il lavoro e' pericoloso, non solo per le fiamme e i fumi tossici, ma perche' l'ISIS ha anche lasicato mine e bombe nei pressi dei pozzi stessi.  A volte viene usata acqua che si trasforma subito in un funo grigio; altre volte viene scavato il terreno attorno ai pozzi metro per metro per eliminare le possibili mine. Quando ne trovano, le fanno esplodere in modo controllato. Sotto le fiamme.  A volte ci sono malori.

Il petrolio dell'Iraq e della Siria e' servito ai signori dell'ISIS per finanziare le proprie attivita', tramite la vendita sul mercato nero dal 2014 ai mesi scorsi.  


Thursday, November 24, 2016

Ungheria: partono i marciapiedi luccicanti e colorati e al sole



Si chiamano Platio e sono una nuova ditta sperimentale con base in Ungheria. Il loro scopo e' di installare pannelli solari dappertutto, iniziando dai marciapiedi millecolori.

A fondare Plario un gruppo di ingegneri e di architetti che hanno creato gia' i primi prototipi di celle fotovoltaiche installati su pannelli di platica resistente cosi da non rompersi quando ci si cammina o ci si passa sopra in bici o in macchina. Ogni modulo e' fatto di plastica reciclata, in modo da essere ancora piu' green, e si puo' integrare con il successivo in modo da coprire aree dalle dimensioni variegata, una sorta di Lego del sole.

L'ingegner Imre Sziszák ha creato le basi mentre i suoi colleghi Miklós Ilyés and József Csehhanno diesegnato le connessioni elettriche e hanno lavorato sul design: vogliono che i pannelli siano anche belli una volta installati.

I tre sono amici d'infanzia che due anni fa si sono ritrovati a Budapest e hanno scoperto di essere tutti innamorati della tecnologia e con il pallino delle rinnovabili e cosi hanno deciso di mettere su questa ditta. Platio e' divetata ufficiale un anno fa. 

Per ora hanno racimolato 70mila dollari di capitale e hanno gia' creato dei prototipi di 150metri quadrati da mostrare a potenziali acquirenti.

Dicono che non ci si puo' perdere: si genera energia, si riduce l'immondizia della plastica e i marciapiedi invece di essere grigi hanno ora l'opportunita' di essere colorati e luccicanti.

Wednesday, November 23, 2016

Alberta: cinque anni di terremoti indotti dal fracking




L'evidenza c'era gia' ma adesso arriva la rivista Science e non la D'Orsogna a confermarlo:  l'attivita' sismica nel nord dell'Alberta negli scorsi cinque anni e' dovuta alle operazioni di fracking.

Non di reiniezione di fluidi nel sottosuolo, ma proprio dalla pratica dell'inettare sottoterra concentrati ad alta pressione di fluidi e composti chimici e tossici.

L'articolo e' stato scritto da due ricercatori dell'Universita' di Calgary,  Xuewei Bao e David Eaton che nel loro scritto "Fault activation by hydraulic fracturing in western Canada"hanno analizzato piu' di 900 terremoti vicino a siti di estrazione di gas di scisto a Duvernay nell' area cosiddetta di Fox Creek.

Le scosse sono iniziate circa cinque anni fa, ma sono diventate piu' intense a partire dal dicembre del 2014. Includono un sisma di magnitudo 4.8, il piu' forte mai registrato nella storia per induzione da fracking nel Canada e nel mondo.

La causa dei terremoti e' da attribuirsi all'aumento della pressione sottterranea man mano che il prcesso di fracking continuava nel tempo; sia in termini di spaccatura della roccia sotterranea (e quindi in termini di cambi della geologia del sottosuolo) che in termini dei cambi di pressione dovuti agli enormi volumi di fluidi iniettati per spaccare la roccia. Gli effetti delle spaccature sono immediati, quelli dovuti ai residui di fluidi che restano nel sottosuolo dopo che la roccia si e' spaccata possono svilupparsi nel tempo.

E infatti in una delle zone terremotate, facendo un raffronto di correlazione temporale fra trivelle e terremoti, emerge che le scosse venivano registrate subito, al massimo entro un mese dall'attivita' di fracking; in una altra zona invece gli effetti dell'attivita' umana erano piu' diluiti nel tempo, con tremori che persistevano anche per vari mesi.

Nel primo caso e' il fracking a causare i terremoti; nel secondo sono i fluidi. 

Il fracking in se e' una vera e propria micro-esplosione istantanea che cambia subito la geolgia, cosi se ci sono faglie gia' criticamente sotto pressione, quando arriva il fracking, voila', l'energia aggiunta e' sufficente a rilascaire un terremoto subito. I fluidi invece possono dare origine a scosse su archi temporali piu' lunghi: visto che restano nel sottosuolo a lungo, la pressione che applicano e' cumulativa nel tempo e i terremoti possono arrivare anche mesi dopo l'iniezione.  In questo caso,
le faglie possono riattivarsi se i fluidi infiltrano i microspazi che puntellano la roccia porosa e la pressione porta piano piano a slittamento e a frizione aggiunta delle roccie sotterranee.

Quello che pero' emerge e' che se la geologia del territorio e' gia' sotto stress, anche piccoli cambi di pressione -- da fracking o da fluidi -- hanno il potere di causare scosse consistenti.

Secondo Bao ed Eaton, gli effetti di fluidi e fracking possono attivarsi anche a distanze superiori ad un chilometro dalle zone estattive. 

E cosi abbiamo sismicita' indotta da reiniezione di fluidi in Oklahoma e Kansas, da trivelle in Texas e in California, da fracking in Alberta, nel Regno Unito, da estrazione di gas in Olanda e da impianti di stoccaggio in Spagna.

Solo in Italia tutto questo non succedera' mai e poi mai.


Tuesday, November 22, 2016

Le isole Fiji a Trump: venga da noi a vedere i cambiamenti climatici dal vivo








“I again appeal to the president-elect of the United States, Donald Trump, 
to show leadership on this issue by abandoning his current position
that man-made climate change is a hoax” 



Gli incontri sul clima di Marrakech del COP 22 sono finiti con un appello a Trump di fare tutto il possibile per fermare i cambiamenti climatici.

Viene dal primo ministro delle isole Fiji, Frank Bainimarama, che ha invitato Donald Trump a visitare le isole Fiji per vedere dal vivo gli effetti dei cambiamenti climatici nelle sue isole devastate dall'erosione e dalle modifiche al clima.

Le isole Fiji sono anche state la prima nazione del mondo a ratificare gli accordi sui cambiamenti climatici dopo l'incontro di Parigi nel 2015. 

Bainimarama ricorda a Trump che i cambiamenti climatici sono veri e non una invenzione dei cinesi, come il presidente eletto ha piu' volte detto durante la sua campagna elettorale. Ha anche ricordato l'impegno generoso degli americani durante la seconda guerra mondiale -- gli alleati usarono le Fiji come base contro i giapponesi dopo l'attacco di Pearl Harbor -- e ha chiesto agli USA di salvare le isole Fiji questa volta dai cambiamenti climatici.

“I say to the American people: you came to save us then and it is time for you to help save us now"

Ha applaudito anche la delegazione americana - ancora sotto Obama.

Un simile appello e' venuto da Mattlan Zackhras, delegato delle isole Marshall, anche loro colpite dagli eggetti dei cambiamenti climatici.

Sono tutti d'accordo che e' imperativo contenere i cambiamenti climatici, specie per le isole del Pacifico che gia' adesso perdono terreni, sofforno di inondazioni, e cambi della salinita' nel terreno.

Facciamo un passo indietro: nel Dicembre del 2015 si decise che si doveva fare tutto il possibile per limitare l'aumento di temperatura media sul globo a meno di due gradi centigradi. L'obiettivo sperato adesso e' che si resti a 1.5 gradi centigradi, mezzo grado in meno.

Pare niente, ma quel mezzo grado fa tutta la differenza del mondo per le nazioni piu' deboli. E infatti, gia' con 1.5 gradi in piu' ci sara' la sommersione di intere zone costiere delle Maldive, delle isole Marshall, e di Bangladesh, Vietnam ed Egitto. Gia' con mezzo grado in piu' scompariranno molte delle barriere coralline negli oceani, aumenteranno i periodi di siccita' e potrebbero esserci problemi di carestie in Africa e in Centro America. Le cose sarebbero ancora piu' catastrofiche con due gradi. Questo lo dice il cosiddetto Low Carbon Monitor delle Nazioni Unite. 

Le isole Fiji hanno molto da perdere in questa faccenda dei cambiamenti climatici, ed e' per questo che sono fra le nazioni piu' agguerrite nel tenere vivi gli accordi di Parigi. Lo sanno che i cambiamenti climatici sono veri e che sono devastanti. Sanno anche che non e' colpa loro, quanto delle nostre economie occidentali, e che loro sono solo sfortunati a doverle vivere sulla loro pelle a causa della loro posizione geografica.

Nel 2017 ci sara' un nuovo incontro sul clima, questa volta a Bonn, in Germania. Le isole Fiji saranno alla presidenza del COP 23.  Saranno sicuramente agguerriti come sempre. Non si sa cosa faranno gli americani, sotto Trump.

Una piccola nota positiva con l'elezione di Trump pero'e' che tutto il mondo si e' sentito unito e galvanizzato nel ribarire l'urgenza di agire. Che siano 1.5 gradi o 2 gradi, li obiettivi di Parigi sono limitati perche' sul lungo, lunghissimo termine, ma se non riusciamo ad arrivare neanche a quelli, allora siamo proprio sulla strada sbagliata.

Obama non e' stato, secondo me almeno, il paladino dell'ambiente che avrebbe potuto essere, ma certo qualche importante passo l'ha fatto, e la delegazione USA ha avuto un ruolo importante negli accordi di Parigi. E' importante che l'America resti parte della lotta ai cambiamenti climatici se non altro perche' e la piu' grande potenza del mondo (per ora almeno!) nonche' uno dei piu' grandi emettitori di CO2 del pianeta.

Intanto e' stato proprio durante l'incontro del Marocco che 11 governi hanno ratificano gli accordi di Parigi, fra questi anche l'Italia, assieme a Australia, Botswana, Burkina Faso, Djibouti, Finlandia, Gambia, Giappone, Malesia, Pakistan e il Regno Unito.  Il totale delle nazioni che hanno ratificato gli accordi e' ora a 111.  L'obiettivo necessario affinche' questi accordi diventassero legge e' di 55 nazioni che rappresentino il 55% delle emissioni a livello globale.

L'obiettivo e' stato raggiunto - con o senza Trump.

Sta a lui ora dimostrare di essere un vero leader, di accettare cio' che la scienza e il senso comune ci dicono da anni ormai e di tirare fuori quello che di presidenziale ha dentro.

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Dopo avere scritto questo pezzo, mi imbatto in articoli del NYTimes e di CNN dove Trump dice che "potrebbe" esserci una connessione fra l'azione dell'uomo e i cambaimenti del clima, che lui e i suoi consiglieri stanno studiando a fondo la questione e che lui ha una "mente aperta" al riguardo.

Durante la campagna elettorale diceva che era una invenzione dei cinesi per ostacolare il business degli americani e che avrebbe ritirato gli USA dagli accordi di Parigi e smesso di dare soldi ai programmi ONU che sono impegnati per fermare i cambiamenti climatici. Adesso e' quasi neutrale, ed appunto ammette una possible "connessione". Sue parole testuali:
"I think there is some connectivity. Some, something. It depends on how much"

 Un uomo, un mistero.