L'isola di Huene nell'arcipelago Carteret
spaccata in due dall'innalzamento del livello del mare
La costa sommersa
I profughi del clima, gli abitanti di Carteret
Rufina Moi, la saggia dell'isola e la sua memoria.
Dice che sara' l'ultima ad andarsene
"We are so scared living on these atolls that any time soon waves
will
come and sweep over all of us."
Juliana Samsi, Arcipelago di Carteret,
Papua Nuova Guinea
"We did not make this problem, you did."
Bernard Tunim, capo dell'isola di Han,
quasi totalmente sommersa
Juliana Samsi, Arcipelago di Carteret,
Papua Nuova Guinea
"We did not make this problem, you did."
Bernard Tunim, capo dell'isola di Han,
quasi totalmente sommersa
Grazie a Francesco Ferella
E' tutto scritto nel quinto rapporto dell’International Panel on
Climate Change: il nostro pianeta e’ sempre piu’ caldo, i livelli degli
oceani aumenta, la concentrazione di CO2 in atmosfera ha superato le 400
parti per milione e presto la temperatura del pianeta’ sara’ di 5 gradi
superiore rispetto al livello pre-industriale: quasi il triplo del
limite di sicurezza.
Ma tutto questo come si traduce nelle vite quotidiane delle persone?
Ecco
uno dei tanti aspetti dei cambiamenti climatici: isolotti e atolli che
vengono letteralmente inghiottiti dalle acque, lasciando indietro
persone senza casa.
Siamo a Papua Nuova Guinea, dove
sorge - ancora per poco - l’arcipelago Carteret. L'acqua e' limipda e
turchese, la sabbia bianca, e le palme ondeggiano con il vento.
Sembrerebbero quasi isole per le vacanze esotiche. All'apice, la
popolazione di Carteret era di circa 3300 persone. Ma se la si guarda
adesso la devastazione delle isole collegata ai cambiamenti climatici e'
evidente. Ci sono alberi sradicati e zanzare dappertutto, noci di cocco
a marcire e tutto sa di sale.
L'arcipelago
e' ora quasi completamente sommerso dal mare. Il National Tidal Centre
(NTC) australiano riporta un aumento medio del livello dell’oceano di 10
centimetri in 20 anni. Originariamente Carteret era formata da sei
isole, poi l'isola di Huene fu spaccate in due dalle mareggiate. Le
isole Han e Piun sono quasi completamente scomparse e si prevede che
l’arcipelago scomparira’ del tutto nel 2015.
Le tempeste
spesso arrivano di notte e fanno paura. Alcune case sono state
distrutte e cosi i raccolti inondati dalle mareggiate. La terra perde la
sua fertilita' a causa del conseguente aumento di salinita’.
I campi di ortaggi sono diventati cosi' paludi zanzarose, il taro, il
sostentamento fondamentale degli isolani non cresce piu', gli alberi di
noci di cocco e di banane muoiono e cadono. Carteret, un tempo
autosufficente dal punto di vista alimentare, deve adesso importare
cibo da fuori. L'acqua di alcuni pozzi artesiani e' diventata salata e
non si puo' piu' bere cosi si cerca di raccogliere l'acqua piovana. Ci
sono gia' casi di malaria e di malnutrizione fra i bambini.
Secondo l'UNESCO, gli isolani di Carteret sono i primi profughi ufficiali causati dal riscaldamento globale.
I
residenti di Carteret vivono senza automobili ed elettricita'. Le loro
isole sono remote, e si vive qui una vita semplice, quasi primitiva, in
simbiosi con la natura ed i suoi ritmi. Alcune isole hanno una radio o
un televisore che funzionano con un generatore. Nell'isola di Han la TV
fu regalata da un americano di San Francisco che vi trascorse due anni
dopo che il suo aereo fu abbatutto durante la seconda guerra mondiale.
Fece costruire un centro ricreativo e ancora adesso manda donazioni agli
isolani per riconoscimento.
Quando sono iniziate
le mareggiate, gli abitanti di Carteret pensavano di avere fatto
qualcosa di male che avesse acceso l'ira dei loro antenati - cosi hanno
ucciso un maiale sacrficale e hanno parlato al vento, chiedendogli di
calmarsi. Durante il corso degli scrosi venti, trenta anni hanno anche costruito delle barriere davanti le loro isole per
cercare di fermare l'aumento del livello del mare. Ma nulla hanno
potuto contro trecento anni di industrializzazione dell'occidente.
Gia'
nel 1984 dieci famiglie erano state trasferite da Carteret all’isola di
Bougainville, piu' grande e a circa 80 chilometri di distanza. Sorsero
pero’ contrasti con le popolazioni autoctone gia' provate da una guerra
civile finita nel 2005 e dopo pochi mesi i profughi di Carteret
tornarono nella loro isola.
Nel 2008 un altro trasferimento finanziato dall’UNESCO
e documentato nel pluripremiato Sun Come up: 40 famiglie spostate in un
villaggio diverso di Bougainville, con la chiesa cattolica che dono'
dei terreni per costuire case-palafitta rialzate da terra. Anche qui la
convivenza si mostro' difficile e alcune famiglie tornarono indietro.
Non
e' chiaro dove debbano andare i residenti di Carteret: per loro
cambiare di isola e' qualcosa di profondo, e occorre essere
particolarmente sensibili alle loro tradizioni, ai loro modi di vivere,
alla loro cultura e come far si che queste possano integrarsi con quelle
delle comunita' ospitanti. E anche se per noi occidentali un isola vale
l'altra, per loro non e' cosi.
Uno dei residenti, Bernard Tunim, fu invitato a parlare al summit del clima di Copenhagen, nel 2009
e disse "Se gli Americani possono andare sulla luna e se gli olandesi
possono rubare terra al mare, perche' non possono fare qualcosa per la
nostra isola?".
Che risposta dargli?
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni stima che
entro il 2050 saranno almeno 200 milioni le persone che saranno
costrette a spostarsi per via dei cambiamenti climatici.
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