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Saturday, April 13, 2019

Ecuador: la tribu Waorani contro i petrolieri per salvare l'Amazzonia









Oil has not brought development for the Waorani,
It has only left us with oil spills and sickness.

Alicia Cahuiya, tribu Waorani, Ecuador


Un altra storia senza fine di ingordigia dei petrolieri e di tanti piccoli grandi Davide contro il mostro.

Questa volta siamo in Ecuador. A Febbraio 2019 centinaia di saggi, giovani e meno giovani, della tribu Waorani sono discesi in massa nella citta' di Puyo. Sono partiti dalle loro case nella foresta tropicale dell'Amazzonia per protestare contro le trivelle nei loro territori, in particolare nella regione Pastaza che secondo il governo centrale dovrebbe essere lottizzato e ceduto ai petrolieri a scopo di denaro.

La provincia di Pastaza e' ricca di fiumi e foreste che circondano l'Amazzonia, con circa mille fiumi tributari e una enorme biodiversita'. A Febbraio 2018 la decisione di rilasciare  16 nuove concessioni petrolifere che coprono ben 28mila chilometri quadrati di foresta vergine.

A organizzare le proteste e a chiedere ai tribunali dell'Ecuador di mettere un fermo alla vendita di nuove concessioni nel paese il Coordinating Council of the Waorani Nationality of Ecuador–Pastaza (Pastaza CONCONAWEP) che vede i Waorani, il gruppo Human Rights Ombudsman, il gruppo Amazon Frontlines lavorare assieme contro gli speculatori. Assieme si pongono contro il ministero dell'Ecuador dell'energia e delle risorse non rinnovabili, contro il segretario degli idrocarburi e pure contro il ministro dell'ambiente del paese perche' dicono che i diritti dei Waorani non sono stati rispettati nel decidere di svendere i loro territori al migliore trivellatore.

Dicono che i loro diritti umani sono stati violati. 

Le donne sono agguierrite, cantano e protestano. Gli anziani non parlano spagnolo ed e' difficile trovare gli interpreti giusti: hanno paura che nelle discussioni la verita' venga offuscata durante la traduzione e cosi inistono con il voler approvare l'interprete giusto, di loro fiducia.  Dicono pure che il governo deve accettare che le tradizioni e i metodi decisionali dei Waorani possano essere diversi da quelli ufficiali del paese e lavorare nel pieno rispetto della loro sovranita' territoriale in Amazzonia.

Il territorio dei Waorani confina con quello di altre tribu: Shuar, Achuar, Kichwa, Waorani, Shiwiar, Andoa and Sápara nations,  e iniziare con i Waorani portera' ovviamente all'inizio della fine anche per le altre tribu, ad inquinamento, ad urbanizzazione, ad acqua e territori rovinati.

Dopo la decisione di accordare sedici permessi trivellanti a Novembre 2018 vicino al confine con il Peru', le proteste erano montate ed erano state cosi sostenute che alla fine da sedici blocchi si passo' a due soltanto. Il ministro degli idrocarburi dell'epoca, Carlos Pérez, cedette anche se il governo disse che era una decisione temporanea e che i territori sarebbero potuti tornare sotto la scure delle trivelle fra qualche anno. Insomma un tuttapposto ecuadoriano.

Degli altri due blocchi Pérez disse che non c'erano tribu' indigene nelle vicinanze, anche se in realta' ci sono vari gruppi di altri nativi, non i Waorani, ma i Sápara, i Shiwiar, i Kichwa e i Tagaeri-Taromenane. Anzi, addirittura c'erano piani segreti per permettere trivelle pure in aree protette
L'Ecuador fa parte dell'OPEC - e' una delle nazioni piu' piccole in questa organizzazione, per dimensioni e per volumi di petrolio estratti. Ugualmente ci sono contratti miliardari con la Cina per comprarlo. E la Cina non fa sconti a nessuno.

Nel 2009 l'Ecuador fece default su tre miliardi di debito che non riusci' a ripagare. L'allora presidente Rafael Correa fece allora un accordo con la Cina: 1 miliardo di dollari in prestito e in cambio
contratti petroliferi a favore di Petrochina.

Le trivelle attuali invece nella mente diei politici dell'Ecuador dovrebbero porare ad $800 milioni di dollari, o almeno questo e' quello che dice il presidente Lenín Moreno.

Ma gli indigeni non ci stanno. I Waorani sono anni che combattono assieme con altre tribu del paese.
Gia' a dicembre 2017 gli indigeni della giungla dell'Amazzonia hanno messo su una marcia di duecento miglia, durata due settimane dalla foresta fino a Quito, la capitale del paese chiedendo di mettere fare alle trivelle nel paese. Si sono pure dati un nome Confederation of Indigenous Nationalities of Ecuador (CONAIE).

A suo tempo il presidente Moreno promise agli indigeni di questo CONAIE di non trivellare i  territori degli indigeni che prima non erano stati interpellati. Ebbene, a questo giro i Waorani lamentano che il governo non li ha mai consultati prima di cedere questi terrirori ai petrolieri.

L'accordo va sotto il nome di Article 57, Sezione 7 della Costituzione. E non c'e' solo questo articolo; il governo dell'Ecuador e' anche obbligato a consultare gli indigeni come da due accordi internazionali di cui una che arriva dritta dritta dall'ONU.
 
Ovviamente il punto della questione e' che i Waorani e gli altri non vogliono essere solo interpellati: non vogliono le trivelle nelle loro foreste.

Punto.

Pure se vivono nella giungla, lo sanno anche loro che le trivelle sono la morte, la degradazione ameintale, corruzione, debiti (alla Cina!) e paralisi di tutto cio' che non ruota attorno al petrolio.

E quindi vogliono un modo di pensare diverso: protezione della foresta, degli indigeni, dell'ambiente, economia verde, un futuro sano e sostenibile.

E' come in Basilicata: le trivelle non ha portato a nessun sviluppo ma solo perdite e malattie.
E in Ecuador lo sanno bene visto che cause e inquinamento collegate alle trivelle vanno avanti dal 1993 quando Chevron/Texaco lasciarono dietro di se una scia di pozzi abbandonati e di monnezza petrolifera che ancora adesso fa ammalare residenti dopo decenni. Basti solo pensare che la composizione chimica dell'acqua dell'Amazzonia e' stata qui perennemente modificata, con un 30% di salinita' in piu' a causa dei riversamenti di petrolio e di rifiuti petroliferi.

E ovviamente non ha senso trivellare nel polmone della terra, sede di una incredibile biodiversita' e di popolazioni indigene che non hanno fatto niente di male per meritare tutto cio'.

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