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Monday, July 22, 2013

Una lettera sullo shale gas - Scaroni ateo o profeta?



“Per me lo shale gas deve diventare 
la priorità assoluta dell’Europa per competere con gli Stati Uniti”.


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Gentilissima Prof.ssa D’Orsogna,

seguo con interesse i suoi articoli riguardanti il tema del petrolio ed in particolare quelli riguardanti il fracking e lo shale gas.

L’Italia, come più volte ricordato da Lei, non ha preso una posizione netta circa l’utilizzo di questa tecnica. Sono d’accordo con Lei che sia ora di aprire un dialogo, anche se leggendo il Documento SEN (Strategia Energetica Nazionale), sembrerebbe che l’Italia sia ad una prima analisi contraria.

Il Documento SEN è un documento con il quale lo Stato Italiano individua le direttive da intraprendere per i prossimi decenni a livello energetico. Questo documento è stato approvato con Decreto Interministeriale dell’08 marzo 2013. In teoria, per i politici di turno e per il “petroliere nostrano”, dovrebbe essere considerato una sorta di Vangelo (mi si scusi il paragone un po’ irrispettoso).

Il SEN, se da un lato tesse le lodi alle rinnovabili, dall’altro si complimenta con gli USA per l’aumento di produzione di idrocarburi gassosi. In definitiva, prende comunque una determinata posizione nei confronti dello shale gas. Secondo quanto si legge a pag 4 del punto 6 (Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali) del SEN:

“il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas”.

Identica frase viene ripetuta a pag 28 del capitolo “Le priorità d’azione e i risultati attesi al 2020” par 3.1: Sette priorità per i prossimi anni.

Stessa frase viene ripetuta a pag 110 del par. 4.6: “Produzione sostenibile di idrocarburi nazionali: gli obiettivi”

Quasi in modo ossessivo, e stavolta in grassetto, la frase si rilegge a pag 115 del documento riguardo le “iniziative”.

Ad una lettura “normale”, pur non specificando il documento cosa intenda per “aree sensibili”, sembrerebbe che lo Stato Italiano non ne voglia sapere di shale gas.

Malgrado quanto scritto su questa sorta di “vangelo petrolifero”, non si comprende come mai il Primo Ministro Letta, nei giorni scorsi, abbia dimostrato un’apertura nei confronti dello shale gas. E’ ancor più non si capisce come mai l’A.D. ENI Scaroni giorno 04 luglio 2013, intervenendo ad un convegno di Confindustria Energia dichiari:

“Per me lo shale gas deve diventare la priorità assoluta dell’Europa per competere con gli Stati Uniti”.

Probabilmente avrà detto ciò leggendo i dati dell’AIE.

Secondo il World Energy Outlook (WEO) (Prospettive Energetiche Mondiali, n.d.t.) dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), uscito a metà novembre 2012, si potrebbe pensare che stiamo letteralmente sguazzando nel petrolio.

Quanto sono affidabili i dati dell’AIE? In una serie di indagini per il Guardian e Le Monde, effettuate nel 2009, Lionel Badal ha dimostrato come i dati chiave fossero deliberatamente compromessi dall’AIE sotto la pressione degli Stati Uniti per gonfiare artificialmente le cifre ufficiali riguardanti le scorte. Non solo, Badal ha in seguito scoperto che già nel 1998, una grande quantità di ipotesi formulate con dati alla mano relative all’ “intensa crescita economica e un basso tasso di disoccupazione”, erano state sistematicamente censurate per ragioni politiche, come testimoniano molti informatori.

Essendo il dipartimento di ricerca dell’AIE sotto un così attento esame politico e oggetto di interferenze da parte degli USA da 12 anni, i suoi dati non si dovrebbero prendere per oro colato.

Un documento di Sir David King, ex capo ricercatore del governo britannico, pubblicato da Nature, mostra che nonostante si parli di crescita delle riserve di petrolio, sottolinea che la produzione di sabbie bituminose, gas naturale e shale gas tramite il fracking crolli dal 60 al 90% nel primo anno di sfruttamento.

L’autore afferma: “Sebbene ci siano sicuramente grandi riserve di combustibili fossili nel sottosuolo, la quantità di petrolio che potrà essere commercialmente sfruttata ai costi abituali dell’economia globale comincerà presto ad esaurirsi”.

Come di solito in questi casi, lo studio è stato quasi taciuto dai media fatta eccezione per un report solitario del Telegraph.

Questi studi scientifici non sono l’unica prova che qualcosa non vada nel verso giusto. Poco meno di un anno e mezzo fa, Rex Tillerson, amministratore delegato della Exxon, si lamentava perché il crollo dei costi conseguente al surplus di gas naturale degli USA, sebbene abbia favorito la riduzione dei costi dell’energia per i consumatori, ha portato anche al crollo dei prezzi e quindi ad un drammatico calo dei profitti.

Questa problematica è generata principalmente dal crollo repentino della produzione dei giacimenti di shale gas, che, inizialmente abbondante, crolla rapidamente.

Sebbene durante le assemblee degli azionisti la Exxon abbia ufficialmente insistito sul fatto che non stava perdendo denaro con il gas, Tillerson disse onestamente in un’assemblea del Consiglio per le Relazioni Internazionali: “Stiamo tutti rimanendo in braghe di tela. Non stiamo facendo profitti. E’ tutto in rosso”.

Il settore petrolifero ha attivamente e deliberatamente cercato di oscurare le sfide che stava affrontando per la produzione di shale gas. Una ricerca molto influente del New York Times lo scorso anno ha riscontrato che, a prescindere dall’atteggiamento pubblico estremamente ottimistico, il settore petrolifero americano è “in privato scettico sullo shale gas”. Secondo il Times, il gas “potrebbe non essere estraibile dai giacimenti in profondità nel sottosuolo in modo economico e semplice come sostengono le aziende, secondo centinaia di e-mail e documenti interni del settore e stando all’analisi dei dati provenienti da migliaia di pozzi.”

Tali e-mail rivelano che amministratori delegati, avvocati, geologi statali e analisti di mercato esprimono il loro “scetticismo in merito alle elevate aspettative” e si domandano: “se le aziende stiano intenzionalmente, e quindi illegalmente, gonfiando la produttività dei loro pozzi e l’ammontare delle loro riserve.”

Malgrado sostenute da studi indipendenti, ad un anno e mezzo di distanza tali rivelazioni sono state ampiamente ignorate da giornalisti e politici.

Ritornando ai fatti di casa nostra, allo stesso convegno di Confindustria Energia, a proposito di rinnovabili, l’A.D. Scaroni dichiara:

“L’Italia ha investito in modo dissennato nelle rinnovabili, tanto che mi chiedo se eravamo ubriachi”.

Alla luce di tutto ciò mi chiedo se la sbronza continua ancora.


Mike il Cavaliere

Nota: i dati relativi all’AIE relativi all’antieconomicità dello shale gas sono tratti dall’interessante articolo di Nafeez Mosaddeq Ahmed.








      

1 comment:

La Bottega del Vicinato said...

Il post di Mike mi suggerisce alcune integrazioni:
La SEN, per quello che dice, non è un documento tecnico ma politico.
L'unico dato incontrovertibile è che “L’Italia è altamente dipendente dall'importazione di combustibili fossili, con una bilancia
commerciale energetica negativa per ben 62 Miliardi di Euro."
http://www.aspoitalia.it/attachments/217_Osservazioni%20AspoItalia%20al%20SEN2012.pdf
L'AIE, a prescindere dalle cause dei suoi errori, ha sbagliato considerando i volumi e non il rendimento energetico.
http://ugobardi.blogspot.it/2013/03/fracking-rendimento-energetico.html
La sovrastima energetica di quei volumi è già stata contabilizzata negli asset delle grandi compagnie petrolifere.
http://qualenergia.it/articoli/20130221-i-mutui-subrimes-del-gas-da-scisti
In più, secondo un report di uno dei più importanti gruppi bancari al mondo, HSBC, buona parte delle riserve "reali" delle compagnie petrolifere potrebbe rimanere nel sottosuolo per avere almeno il 50% di possibilità di fermare il GW a 450 ppm.
http://qualenergia.it/articoli/20130204-finanza-fossili-e-allarme-di-hsbc-attenti-alla-bolla-della-co2
I presagi sono quelli di una "Carbon Bubble"